Marco Moraccini
Scritti su Lorenzo Milani
Una antologia critica
Edizioni
JACA BOOK
Circolo Il Grandevetro
maggio 2002
A mia figlia Serena Eva,
che il 19 febbraio 2002 ha brillantemente concluso i suoi studi con una laurea in Scienze della Comunicazione
Esportare il segreto della Barbiana del Mugello, che sta tutto negli obiettivi, e ripeterne il metodo, che è tutto di impegno e coerenza, nelle tante Barbiane del mondo, è l’unica possibilità/speranza che ci resta.
Giorgio Pecorini
Don Milani! Chi era costui?
Baldini&Castoldi, 1996
INDICE
Prefazione
di Maurizio Di GiacomoNote del curatore
Capitoli
Indice degli articoli
Indice del contenuto del CD-Rom allegato
Prefazione
Questa antologia realizzata con controllata partecipazione da Marco Moraccini si configura come uno strumento molto utile per riflettere su cosa ha rappresentato nel panorama italiano ecclesiale e sociale la figura di don Lorenzo Milani (1923-1967) in prossimità dei primi 35 anni dalla sua morte; il dies natalis per chi si muove in una prospettiva di fede.
Il pregio del testo di Moraccini è quello del respiro lungo, svincolato da occasioni di passaggio come ha rappresentato, nel gennaio 2000, il controverso abbinamento tentato dal segretario nazionale del partito dei "Democratici di Sinistra", Walter Veltroni tra l’I Care, uno dei motti che campeggiava nella stanza della Scuola di Barbiana tra i monti del Mugello in Toscana e il congresso nazionale di quel partito, celebratosi al Lingotto di Torino. Nell’intervallo tra l’iniziativa veltroniana e il tempo presente di questa prefazione, occorre rilevare alcuni fatti nuovi: il consolidarsi anche sulla base della spinta del film interpretato da Sergio Castellitto, nell’autunno 1997, Don Milani, il priore di Barbiana, del fenomeno di coloro che, di ambo i sessi, in modo spontaneo o organizzato, salgono al cimiterino di Barbiana per pregare o per meditare accanto alla tomba milaniana. Liana Fiorani col suo Dediche a don Milani dal cimitero di Barbiana (Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi, L’Aquila, 2001), ha monitorato l’evento dalla primavera 1980 al 31 dicembre 2000. Nel frattempo i documenti su don Lorenzo Milani crescono in maniera costante nei maggiori circuiti Internet (sotto questo profilo, al momento, manca una tesi di laurea o una ricerca che studi questo dedalo anche per stabilire quanti sono effettivamente i ‘documenti’ riconducibili a don Milani e quanti sono il prodotto di una mera coincidenza esterna). Le traduzioni in lingua non italiana di opere e di scritti di don Milani potrebbero giungere quest’anno a 36, con la versione in russo di Lettera a una professoressa, il libro scritto dalla Scuola di Barbiana sotto la regia di don Milani e che, al di là delle sue previsioni, era destinato a dare un contributo ancora non pienamente esplorato al ’68 italiano e per alcuni aspetti anche europeo.
Il valore dell’antologia qui presentata consiste nel suo documentare l’onda lunga dell’effetto don Milani. Si va dall’impatto e dalle reazioni diversificate che produsse Esperienze Pastorali, fatta ritirare dal commercio sotto Giovanni XXIII, ma in un clima che risentiva ancora della profonda orma lasciata da Pio XII, con le sue luci e con le sue ombre.
Moraccini, comunque, arriva fino ai nostri giorni quando la figura di don Milani si è trovata ancora al centro di valutazioni controverse, tra chi, in particolare alcuni suoi ex allievi, puntano sul suo essere soprattutto sacerdote, e chi in ambito sindacale lo vede come un punto di riferimento da utilizzare, in un momento delicato di riscrittura delle regole del sistema scolastico italiano. Qui ci si riferisce a diversi interventi di delegati della Cgil scuola (ma non solo di essi) critici verso talune impostazioni del ministro alla pubblica istruzione, Letizia Moratti, emerse dai recenti ‘stati generali’ sulla scuola in Italia e sul tormentato rapporto tra scuola pubblica e scuola di matrice religiosa e privata nel nostro paese.
Da tempo, a Firenze, è stato costituito un comitato per istituire o su base regionale o su scala nazionale una "Fondazione Don Lorenzo Milani". Sempre in questo periodo di tempo, sono venuti alla luce, grazie a pubblicazioni specifiche, documenti milaniani in versione integrale rispetto a precedenti versioni ‘monche’ oppure ne sono affiorati di nuovi; entrambi molto utili per chi in prospettiva (singolo o gruppo?) sarà capace di scrivere la biografia ‘definitiva’ di questo sacerdote, pedagogo e polemista suo malgrado. Certamente esistono anche le diversità di orientamento tra gli ex allievi/e di don Milani che, talvolta, sollecitano molta tenacia a chi voglia colmare le tessere ancora in bianco del mosaico milaniano.
È questa un’arte difficile. Essa cozza in modo quasi fatale con le esigenze di coloro che nell’era appena agli albori dell’informatica e di fronte al crescere di varchi di diseguaglianze tra chi troppo sa e tra chi, ogni giorno, sfanga la vita perché povero di mezzi economici e dello strumento della lingua, cercano le strade per applicare in concreto un metodo, un itinerario, per dare gambe a alcune intuizioni milaniane.
È una scelta generosa e degna di tutto rispetto che potrebbe condurre a un CD-Rom del "Centro di documentazione Don Milani & Scuola di Barbiana" di Vicchio (prima fase).
Tuttavia, la sensazione sgradevole che alcuni ex allievi milaniani lasciano trasparire è una sorta di affanno per recuperare rispetto a un fatto indubitabile: il "metodo" milaniano senza don Lorenzo Milani rischia di rivelarsi una scatola vuota.
La capacità di attrazione e di coinvolgimento, al limite della seduzione, sprigionata da don Milani, rimanda a un nodo che qui viene prospettato, da chi scrive questa prefazione, come un’ipotesi: il non aver risposto a un quesito chiave -‘chi’ era Lorenzo e don Milani a livello esistenziale-, il non aver fatto i conti con la sua solitudine strutturale, intrecciato col fatto che don Milani, nel proprio testamento definitivo, ha indicato solo due suoi allievi a lui molto vicini, Michele e Franco Gesualdi e di riflesso la Eda Pelagatti che per oltre 20 anni aveva lavorato gratis al suo seguito, ha facilitato l’erezione di un muro invisibile che accentua le differenziazioni all’interno della galassia post milaniana ovvero tra i suoi ex allievi e allieve.
Tutto questo avviene mentre sul versante ecclesiastico e fiorentino e nazionale si sta a guardare. Un sacerdote dell’arcidiocesi fiorentina è entrato, per la prima volta, nel consiglio d’amministrazione del centro "Don Milani & Scuola di Barbiana" di Vicchio (nuova fase). D’altra parte se si potessero raccontare tutte le peripezie che, fino a questo momento, inchiodano ancora, a livello diocesano fiorentino, la causa di canonizzazione dell’ex sindaco Giorgio La Pira, introdotta nel 1992 dall’allora arcivescovo di Firenze cardinale Silvano Piovanelli, ci sarebbe non poco da meditare. Di fronte alla congregazione per le cause dei Santi, in Vaticano, in tempi diversi sono giunte le positio ovvero i dossier di documentazione del veneto cardinale Elia Dalla Costa, arcivescovo di Firenze durante il cui mandato, agli inizi del 1954, don Milani è stato trasferito a S. Andrea di Barbiana, e del romagnolo, ex cappellano militare, mons. Giulio Facibeni, fondatore di quell’Opera Madonnina del Grappa alcuni orfani dei quali si è trovato a seguire don Milani nel periodo iniziale del suo essere viceparroco a San Donato di Calenzano dall’autunno 1947 alla sopra indicata data del 1954.
E don Milani pur registrando alcune divergenze con mons. Facibeni ha cercato sempre, come ha potuto, di seguire anche dall’isolata Barbiana l’impatto, con luci e con ombre, di quella testimonianza nel contesto del peculiare cattolicesimo fiorentino.
Gli ‘interventi’ sui testi milaniani postumi
Per affrontare questa tematica che da sola richiederebbe un libro a sé, occorre partire un po’ da lontano.
Qui si ricorre all’aiuto di un testimone milaniano, incontrato a Firenze il 25 novembre del 2001, una domenica. Egli è andato a Sant’Andrea di Barbiana per la prima volta nel 1962. Nella stanza del colloquio spicca un ritratto a colori, opera di Hans Joaquim Staude, il pittore tedesco al quale Luigi Albano Milani si era rivolto per cercare un punto d’appoggio per il figlio secondogenito Lorenzo, ondivago e certo solo su un punto: non iscriversi all’università.
Questo testimone abita a poca distanza da via delle Campore, dove lo Staude aveva il suo studio. In questa prefazione d’ora in poi sarà citato come ‘il testimone del quadro’.
Dicembre 1958. Si era diffusa la notizia dei provvedimenti ristrettivi da parte dell’autorità competente vaticana circa Esperienze Pastorali, il primo e unico libro scritto da don Milani.
"Don Lorenzo ci telefonò da via Masaccio da casa della madre a Firenze amareggiato. Era stato informato del verdetto su Esperienze Pastorali e aveva commentato: "È andata peggio di quanto si potesse prevedere!"".
La parola di nuovo al ‘testimone del quadro’:
"Un giorno salì a Barbiana Giorgio La Pira. Stette un bel po’ a parlare dell’apocalisse e della fine dei tempi. Disse che nel giudizio finale si sarebbe visto il popolo di Israele incamminarsi verso Dio e simili. Don Milani lo aveva ascoltato in silenzio. Poi si era alzato in piedi nella sua tonaca nera e guardandolo negli occhi aveva quasi sillabato "E ci sarà anche tutto il popolo di Barbiana guidato da me!". I ragazzi della Scuola di Barbiana, partito La Pira, avevano attorniato don Milani e gli avevano detto con un accento critico "A noi insegni che non bisogna perder tempo nel trattare cose inutili e incomprensibili. Invece La Pira è stato a sproloquiare". Al che don Milani rispose loro "Vedete, La Pira è un santo e un arteriosclerotico: e può parlare quanto vuole ma non di cose serie!"".
Nel medesimo anno, in autunno, don Milani è impegnato a preparare il testo definitivo della lettera aperta del primo ottobre 1964 a mons. Ermenegildo Florit arcivescovo di Firenze e al resto del clero di quella arcidiocesi.
Chiede a mons. Florit non di reintegrare mons. Gino Bonanni nella carica di rettore de "Il Cestello", il seminario in lung’Arno, ma che si avvii una conduzione meno verticistica dell’arcidiocesi. Sopraggiunge don Bruno Borghi, un sacerdote molto vicino a don Milani e che egli stima molto. "Durante la stesura quello che suggeriva Borghi veniva subito accettato da don Lorenzo. Alla fine disse ai ragazzi: "Questo è per farvi capire chi è il Borghi"" ricorda ancora ‘il testimone del quadro’.
Infatti don Milani e don Borghi co-firmeranno la lettera aperta.
Restano, però, isolati. Le adesioni (finora conosciute) al loro appello al dialogo risultano essere soltanto dieci.
La malattia che degrada verso una forma di leucemia (in quegli anni ancora assai poco curabile) incalza. Le polemiche legate all’obiezione di coscienza si fanno roventi. Don Milani e Luca Pavolini, direttore responsabile del settimanale Rinascita, espressione del PCI, finiscono sotto processo a Roma in quanto autore e diffusore della ‘lettera aperta’ a un gruppo di ex cappellani militari della regione ecclesiastica Etruria che in un comunicato dell’11 febbraio 1965 (anniversario dei Patti Lateranensi del 1929) avevano tacciato di ‘viltà’ gli obiettori di coscienza al servizio militare di leva in Italia.
Il 5 gennaio 1966 don Milani replica con una lettera al cardinale Ermenegildo Florit (‘creato’ da Paolo VI nel febbraio ’65), smontando passo dietro passo l’informazione finita alla segreteria di stato vaticana e, di fatto, messa in circolazione da un’agenzia di stampa di destra che i vertici delle Botteghe Oscure -ovvero del P.C.I.-, avessero dato indicazioni di raccogliere soldi all’interno delle federazioni di quel partito per sostenere don Milani nell’affrontare le spese per il processo. Il 15 febbraio 1966 sia don Milani sia Pavolini, in primo grado, sono assolti con formula piena.
In tale contesto, don Milani riscrive il testamento olografo in origine depositato presso il suo amico e avvocato Giancarlo Melli (morto a Firenze nell’ottobre 2000); a proposito: quali erano in quel momento le condizioni psicofisiche complessive del priore di Barbiana?
Il testo del testamento riscritto è recapitato in una busta chiusa a don Cesare Mazzoni, un sacerdote che ha incontrato don Milani per la prima volta nel 1951 e da allora suo amico.
La malattia prende il sopravvento; inoltre, alcuni allievi che capitano a S. Andrea di Barbiana, in quei mesi, sono assai impegnativi da seguire. Don Milani intorno alla metà di aprile 1967 si trasferisce a via Masaccio in casa della madre, non senza aver bruciato prima nella stufa al centro della stanza principale della Scuola di Barbiana una parte della sua corrispondenza e del suo archivio.
L’‘ultima nemica’, la morte, incombe in via Masaccio. Che cosa sia avvenuto in quella stanze fino al 26 giugno 1967, giorno della morte di don Milani, è una storia comprensibilmente destinata a restare lacunosa. Vari sono gli scenari con sfumature diverse. Si ricordano qui la descrizione in Vita del prete Lorenzo Milani, Biblioteca Universale Rizzoli, di Neera Fallaci, la testimonianza di Gino Carotti, parrocchiano di don Milani a S. Andrea di Barbiana nel volume L’attualità di don Lorenzo Milani, Centro Grafico San Miniato, San Bonifacio (Verona) 1997, a cura di Mariano Mariotto, Don Bensi di Raffaello Torricelli per le Edizioni Polistampa di Firenze, 1997.
Una descrizione molto ampia compare in Progetto Lorenzo finito di stampare, a Firenze, il 26 giugno 1998 e curato da Edoardo Martinelli. Nel testo intitolato E la morte la regalò ai suoi ragazzi si legge tra l’altro "Un’altra notte mi parlò della fede come di una grazia di Dio, citò anche Kierkegaard (filosofo cristiano danese; n.d.MDG). A Barbiana ci aveva parlato solo di Socrate, mai ho sentito citare altri filosofi o comunque non me ne ricordo. L’anima (l’anima spasimante) doveva vivere uno ‘stato di abbandono’. "Cosa ti costa. Cosa ti costa lasciarti andare?!", mi ripeteva. Ero troppo giovane... Ricordo che si arrabbiò vivacemente quando per nascondere il mio razionalismo feci l’esempio del primitivo che si emoziona e si stupisce davanti ‘alla luna su uno stecco’. La mia risposta terminava così, lo ricordo bene, perché ho rivissuto l’episodio attraverso il ricordo e frequentemente. Mi pianse addosso col suo capo, ormai senza capelli, appoggiandosi alla mia fronte, come faceva solitamente nella confessione. Pelle contro pelle...".
Prima del passo finale, comunque, c’è altra strada.
Milani e Borghi
Il rapporto con don Bruno Borghi è un rapporto profondo che trova ancora un’eco ne ‘il testimone del quadro’ nelle ventiquattro ore successive al 27 giugno 1967, in via Masaccio.
"Durante la permanenza di don Milani per la malattia terminale, a via Masaccio a Firenze in casa della madre, c’era l’ordine che la porta fosse aperta a qualsiasi ora. Una sera molto tardi la signora Milani sentì suonare. Pioveva, andò ad aprire e si trovò di fronte un omone racchiuso nel pastrano inzuppato d’acqua. Don Milani disteso nella sua branda nella stanza dov’era assistito, ancor prima che il nuovo venuto si dichiarasse, con un sorriso esclamò in direzione della madre "L’è Bruno!" ovvero don Bruno Borghi".
"Il giorno dopo la sua morte, il 27 giugno 1967 -prosegue la stessa fonte- la salma di don Milani era composta in un’altra stanza su un letto a due piazze. A un certo punto era arrivato don Borghi che si era gettato vestito da prete di traverso sopra la salma di don Milani. Trascorsero diversi secondi poi era intervenuta la mamma di don Milani pregandolo di togliersi da quella posizione. Don Borghi aveva obbedito alla signora Milani, tuttavia in quella stessa giornata aveva ripetuto una seconda volta quel modo di sdraiarsi sopra la sua salma. "Si vede che Dio esiste -ha commentato Borghi successivamente- consentendo a don Lorenzo di gestire a quel modo la sua morte"".
Lo studioso Michele Ranchetti, amico di Lorenzo Milani fin dal periodo milanese, in una conferenza tenuta a Varese nel marzo 1997, circa trent’anni più tardi, esprimerà una visione ben diversa su quanto avvenuto nei giorni precedenti la morte di don Milani in via Masaccio (cfr. il suo Gli ultimi preti, Edizioni Cultura della Pace, Fiesole, 1998, e ora in Scritti vari, secondo volume, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2001).
Il tempo appena di avviare l’elaborazione del lutto e iniziano le mosse per arrivare a una pubblicazione degli scritti inediti, per lo più privati, lasciati da don Milani. È coinvolto in prima persona Giorgio Pecorini che incontra don Milani, per la prima volta, nell’autunno 1958 come inviato speciale del settimanale L’Europeo, lì richiamato dal crescere a livello nazionale delle polemiche attorno a Esperienze Pastorali e successivamente divenuto suo fidato amico.
Trentotto anni dopo, nel 1996, nel suo Don Milani! Chi era costui?, Pecorini racconterà per quello di sua competenza quanto era avvenuto: "Se il ‘tutto e subito’ non risultava praticabile per ovvii motivi di opportunità... ero sicuro che, superate col tempo e con la ragione perplessità iniziali e inizialmente comprensibili, ogni amico di don Milani, ogni allievo delle sue due scuole (a San Donato di Calenzano e a S. Andrea di Barbiana; n.d.MDG) avrebbe dato il proprio consenso e il proprio contributo...".
Il lavoro di organizzazione dei testi inediti procede. "Tanto più che a furia di discussioni con molta pazienza e con qualche litigata, le impuntature più umorali, le sciatterie più pericolose, le censure più assurde si riusciva a farle rientrare" pur conservando "numerose ammaccature".
Rievocherà ancora Pecorini: "Fra tutto quello che avevo letto e trovato nell’archivio di Barbiana in quel mese di lavoro tra l’agosto e il settembre del ’67 c’erano cose che mi toccavano e mi turbavano emotivamente... Quasi a compenso simbolico della mia fatica, ma soprattutto per ricordo affettivo e promemoria professionale, chiesi il permesso di copiarmi qualche pagina e lo ottenni. A Firenze, Michele (Gesualdi; n.d.MDG) mi fece la copia di alcuni testi. I ragazzi me ne batterono a macchina altri. Alcuni passi autografi del priore me li trascrissi io, per scrupolo di riservatezza e di rispetto delle scansioni, delle esitazioni e delle correzioni grafiche, che mi parevano intrinseche al discorso, essenziali per intenderlo..." (op. cit. Baldini & Castoldi, Milano).
Nel marzo 1970 con l’editore Mondadori esce la prima edizione di Lettere di don Milani priore di Barbiana a cura di Michele Gesualdi. In una nota in corsivo si legge che i 126 testi fanno parte di ‘oltre 900’ recuperati nell’arco di circa tre anni.
Il successo del libro è vasto, come aveva pronosticato lo studioso di linguistica Tullio De Mauro e come nello stesso periodo registra, con una punta di stupore, Enzo Siciliano.
Poco più tardi di un anno, Enzo Biagi, nella serie televisiva Terza B. Facciamo l’appello, il 20 luglio 1971, manda in onda una puntata, registrata nella sede Rai di Firenze, con don Raffaele Bensi, il direttore spirituale e confessore di don Milani che parla anche del rapporto con quel suo assistito/discepolo e conferma che le numerose lettere da lui ricevute esistono.
"Io ho visto quella trasmissione ma non in casa mia perché allora non avevo ancora un televisore. In seguito ho appreso da Dino Pieraccioni, uno studioso -oggi scomparso- molto vicino a don Bensi e ben noto anche a don Milani, che Paolo VI aveva visto quella trasmissione. Aveva alzato il telefono per chiamare don Bensi e si era congratulato con lui".
Nel 1972 la casa editrice romana Coines (‘Comaschi in esilio’, tra gli altri don Claudio Sorgi -al presente scomparso-, Emilio Gabaglio e don Virgilio Levi, pure lui defunto) pubblica un nuovo libro su don Milani E don Milani allora fondò una scuola, del toscano Mario Lancisi.
La pubblicazione ruota intorno a una serie di lettere di don Milani all’amico magistrato minorile Gianni Meucci. Dall’esame comparato tra alcune lettere pubblicate da Lancisi e quelle apparse due anni prima presso Mondadori si rileva che le parentesi quadre hanno finito con l’omettere un paio di aggettivi che proiettano su don Milani lo stigma dell’omosessualità (sempre respinto, con forza o con un virile silenzio sorretto dalla fede, dal diretto interessato) e alcuni dettagli circa il ruolo di Giorgio La Pira nella complessa trafila che aveva portato alla pubblicazione di Esperienze Pastorali con una presentazione di mons. Giuseppe D’Avack, arcivescovo di Camerino (cfr. Don Milani e Pasolini: l’incontro segreto, nel mensile Liberal, Roma, gennaio 1996).
Nel 1973 la madre di don Milani, Alice Edvige Weiss Comparetti, pubblica anch’ella con Mondadori una scelta di lettere a lei scritte da quel suo figlio.
In proposito ha scritto Ranchetti ne Gli ultimi preti: "Ho aiutato la madre (di don Milani; n.d.MDG) nella scelta delle lettere a lei dirette, soprattutto nel suggerire le note per l’edizione. Alice non volle pubblicare alcuna sua lettera che si riferisse alla malattia di Lorenzo per rispetto della sofferenza e perché Lorenzo aveva paura del male e si lamentava di continuo con lei e con il fratello medico...".
Nel giugno 1973 la signora Milani scrive a una sua parente a Trieste, Paola Weiss e le confida di essere contenta di aver pubblicato quelle lettere dopo diverse esitazioni. (Quella lettera, in originale, fin dai primi anni novanta, rientrerà nel possesso fisico di Elena Milani in Polacco, la sorella minore di don Lorenzo).
Secondo un articolo di Anna Maria Accerboni, docente all’ateneo triestino e considerata la maggiore studiosa in Italia di Edoardo Weiss, parente di Alice Milani e colui che per primo introdusse in Italia la psicoanalisi di Sigmund Freud, Paola Weiss, molto bella in gioventù, sarebbe stata utilizzata dallo scrittore irlandese James Joyce, durante il periodo che dava ripetizioni di inglese alla sezione triestina della Berlitz School, per trarne ispirazione poi trasfigurata in alcuni tratti delle protagoniste femminili del suo Ulysses. D’altra parte anche Alice Weiss per qualche tempo era stata a lezione da Joyce.
Sempre nel 1973, la giornalista toscana Oriana Fallaci, inviata speciale del settimanale Oggi, pubblica un’inchiesta a puntate sulla vita di don Milani, aggiungendo testimonianze e documenti di prima mano.
Un altro anno e nel giugno 1974 con l’ausilio di Michele Ranchetti, di Enzo Enriques Agnoletti che a livello professionale è un notaio e con l’incoraggiamento di Mario Gozzini, a Bologna, nel contesto dell’Istituto per le Scienze Religiose Giovanni XXIII (in seguito diventato una ‘Fondazione’) viene costituito, su iniziativa della famiglia Milani, un "Fondo don Lorenzo Milani".
La signora Milani oltre a donare a questo fondo la documentazione in suo possesso, firma una lettera insieme a Adriano Milani Comparetti (il fratello maggiore di don Lorenzo) e a Elena Milani in Polacco invitando chi abbia documenti relativi a don Milani a versarli lì o in originale o in fotocopia. Alcuni aderiscono: Gianni Meucci, Mario Cartoni, Franco Gesualdi e Giorgio Pecorini. Questi ultimi due, diversi anni più tardi, recupereranno la loro libertà d’azione rispetto all’uso delle lettere da essi versate in fotocopia perché le ritengono vincolate da norme poco trasparenti.
Ancora nel giugno 1974, con la Milano Libri, una casa editrice diretta da Oreste Del Buono, ex compagno di studi di Lorenzo Milani alle scuole medie superiori durante il suo trasferimento nel capoluogo lombardo, esce la prima edizione del libro di Neera Fallaci Dalla parte dell’ultimo / Vita del prete Lorenzo Milani.
La prefazione anonima al libro è stata scritta dal giornalista Mario Cartoni, cronista giudiziario de La Nazione, entrato in contatto con don Milani nella primavera 1964 a S. Andrea di Barbiana. (Il riscontro ne Il Tetto, Napoli, 1994, n° 183-184).
L’accoglienza al libro della Fallaci, scritto con tenacia e con passione (il francescano padre Nazzareno Fabbretti, scomparso nel 1999 quindici anni dopo la Neera Fallaci, con una punta di affettuosa ironia la chiamava ‘il ragazzo di Barbiana’) è tale che si delinea una nuova edizione, rivista e accresciuta con nuovi documenti e con nuove testimonianze.
La Fallaci viene avvisata dell’esistenza di una lettera che il patriarca di Venezia, cardinale Angelo Giuseppe Roncalli, ha scritto a un confratello vescovo bergamasco nemmeno un mese prima di essere eletto col titolo di Giovanni XXIII, nella quale prende le distanze da Esperienze Pastorali e stigmatizza con termini psichiatrizzanti don Milani.
È una scoperta che mette in crisi l’interpretazione benevola a proposito di Esperienze Pastorali da parte di Giovanni XXIII alla quale don Milani aveva fatto riferimento nel dicembre 1965 nel corso di una lezione, a Barbiana, a una serie di allievi e di allieve di una scuola privata di giornalismo di Firenze e del successivo ritiro dal commercio di quel libro (una pratica istruita durante il pontificato di Pio XII).
Neera Fallaci tra il gennaio e il febbraio 1976 incontra a Firenze don Bensi. Gli reca il frutto di quella scoperta, ma è anche alla ricerca di un interrogativo che appassiona molti e molte: ‘cosa c’è scritto nelle lettere di don Milani a don Bensi?’
Il colloquio viene registrato forse all’insaputa di don Bensi. Emergono valutazioni e confidenze che spaziano a tutto campo da don Milani ai suoi ex allievi delle due scuole popolari ai rapporti con Paolo VI nel corso del 1977 o del 1978 (stabilirlo con esattezza è pressoché impossibile perché l’unica testimone degli avvenimenti Adele Corradi non ricorda con esattezza i passaggi).
Con buona probabilità avviene la distruzione tramite falò delle lettere di don Milani a don Bensi. Una eco del tutto si trova nell’articolo Don Milani: una lettura esistenziale ne La Critica Sociologica (Roma, n° 135, autunno 2000).
Adele Corradi accompagna due volte la signora Milani da don Bensi; la madre di don Lorenzo vorrebbe leggere alcune di quelle lettere. La seconda volta si sente rispondere che esse non ci sono più. Don Bensi si era mosso seguendo un consiglio di mons. Gino Bonanni che l’aveva ammonito pressappoco così: ‘don Raffaele spicciati che se esiti alla fine quelle lettere te le sfilano’.
E la signora Milani morirà, a Firenze, il primo luglio 1978. Quante erano quelle lettere di don Milani a don Bensi?
Ecco la testimonianza, in proposito, ancora de ‘il testimone del quadro’.
"Le lettere che don Milani aveva scritto a don Bensi stavano tutte raccolte nei cassetti di un armadio, divise in pacchetti e legate con lo spago. Sotto lo spago un fogliolino di carta dove era indicato l’anno. Secondo un mio calcolo approssimativo erano un 1200. Don Bensi mi ha fatto vedere quei pacchetti un paio di volte".
Nell’autunno 1977 esce la nuova edizione di Dalla parte dell’ultimo, ancora con la Milano Libri. Nel giro di meno di un paio d’anni il libro finisce esaurito e non più ristampato. Solo nove anni dopo la morte della Neera Fallaci (nel 1993) sarà riedito con una post-fazione del docente universitario di pedagogia a Genova, Mario Gennari.
Nel luglio 1980 (essendo arcivescovo a Firenze il cardinale Giovanni Benelli, uno dei due grandi sconfitti nel conclave che il 16 ottobre 1978 ha designato papa il cardinale Karol Wojtyla creato alla porpora cardinalizia, con altri, da Paolo VI il 26 giugno 1967) il comune di Firenze promuove un convegno di studi su don Lorenzo Milani.
Interviene anche Giuseppe Battelli, ricercatore del succitato Istituto per le Scienze Religiose ‘Giovanni XXIII’ di Bologna.
Egli tra l’altro tratta due temi: i criteri di pubblicazione delle 126 lettere chèz Mondadori e la situazione delle lettere di don Milani a don Bensi.
Battelli propende per l’esistenza dell’epistolario don Bensi-don Milani e segnala che nella versione edita dalla casa editrice mondadoriana delle lettere di don Milani due lettere di quel sacerdote a Mario Cartoni presentano un’anomalia: laddove l’originale suona ‘io’ invece nel testo edito spunta un ‘noi’.
Al convegno fiorentino assistono tra gli altri il giornalista Giovanni Spinoso del quotidiano Avvenire, nell’orbita di don Bensi, don Alfredo Nesi ex compagno di seminario di Lorenzo Milani, successivamente missionario a Salvador de Bahia, in Brasile, tra i favelados.
Mario Lancisi avvicina don Bensi, presente al convegno e sul quotidiano Paese Sera riferisce alcune sue confidenze circa l’uso a Barbiana da parte di don Milani anche di mezzi educativi drastici come il ricorso a battiture con verghe fatte di rametti.
Il 4 aprile 1985 muore a Firenze don Bensi. Enzo Enriques Agnoletti dalle colonne de La Nazione auspica che le lettere tra don Milani e don Milani siano salvate dalla distruzione. Tuttavia un libro edito a Firenze dalle Edizioni di Cultura nel 1986 da una serie di estimatori di don Bensi, su Per le scale di don Bensi, vanifica ogni aspettativa. Quella corrispondenza è stata bruciata.
Nell’estate 1991, a Milano, in seguito a un acquazzone che allaga un semiscantinato finiscono sbiancati gli originali delle lettere che Lorenzo Milani aveva scritto alla ‘quasi fidanzata’ Carla Sborgi prima del suo ingresso in seminario, la stessa alla quale dal letto di morte quando ella gli chiedeva cosa potesse fare per far conoscere la Lettera a una professoressa il priore di Barbiana aveva risposto "Fate baccano!". (La vicenda di quello sbiancamento è nel testo qui citato Don Milani tra solitudine e Vangelo delle Edizioni Borla di Roma, 2 febbraio 2002, doc. n° 58, di Maurizio Di Giacomo).
Nel 1997, Michele Gesualdi partecipa a una tavola rotonda promossa dal settimanale Toscana Oggi. Racconta all’incirca che ha finito col distruggere, salvo poche eccezioni, un anno di lettere scrittegli da don Milani e a testimonianza dell’investimento esistenziale messo in atto dal priore di Barbiana nei suoi confronti ricorda che, trasferitosi a Milano, per un certo periodo non aveva scritto a Barbiana. Una sera sente bussare alla sua porta e si vede arrivare don Milani, chi guida un pulmino e la Eda Pelagatti che sono venuti fin lì ad accertarsi sui motivi di quel periodo di silenzio. Nella stessa tavola rotonda Gesualdi dichiara che le omissioni presenti nell’antologia mondadoriana non hanno più ragion d’essere.
Lascia, tuttavia, un senso di sgomento constatare come ancora nel 2002 i testi di lettere private milaniane circolino con interventi che, in contesti del tutto diversi e con motivazioni non paragonabili fra di loro, hanno prodotto precedenti illustri. Basti qui accennare alle lettere del drammaturgo sovietico Anton Cechov purgate, durante l’era Breznev, di diverse espressioni per così dire ‘colorite’. Lo scrittore americano Ernest Hemingway ha visto numerosi suoi scritti censurati durante il regime franchista in quanto descriveva realtà ad esso sgradite come le atrocità commesse dalle truppe al seguito di Francisco Franco y Bahamonde, ‘il Caudillo’, ai danni di coloro che si battevano sul versante della repubblica spagnola.
Sotto questo profilo due studiosi hanno pubblicato studi eccellenti.
La Prade, Douglas, E. con il suo La censura de Hemingway in España, Salamanca Ediciones Universidad 1991 e Gould Thomas E. A Tiny Operation with Great Effect. Authorital Revision and Editorial Emasculation in the Manuscript of Hemingway‘s ‘For Whom the Bell Tolls’ (‘Per chi suona la campana’; n.d.MDG). In Blowing the Bridge: Essays on the Hemingway and For Whom the Bell Tolls, Ed. Renam Sanderson, New York, Greenwood Press, 1992, 67-81.
Lo stesso Hemingway, d’altra parte, ha dovuto ricorrere a taluni accorgimenti in alcuni suoi testi letterari pubblicati negli Stati Uniti d’America. Nell’intervista ‘sull’arte di scrivere e narrare’ raccolta da George Plimpton, riferendosi al suo principale editore Max Perkins rievoca "non sono mai riuscito a accettare l’idea che sia morto. Max non mi ha chiesto di modificare mai nulla di quel che scrivevo, a eccezione di alcune parole che allora non si potevano pubblicare. E in quei casi lasciavamo lo spazio bianco, e chi conosceva quelle parole avrebbe potuto colmare il vuoto da sé". (Ed. Il Melangolo, Genova, 1996, pagg. 40-41).
Per comprendere l’affermazione di Hemingway occorre rifarsi al clima tratteggiato dallo scrittore Francis Scott Fitzgerald in un brano autobiografico del novembre 1931 (allora Lorenzino Milani aveva otto anni e cinque mesi) legato al periodo precrisi di Wall Street del 1929: "Ricordo un giudice di non so quale distretto di New York, che, dopo aver condotto la figlia a vedere gli Arazzi di Bayeux, sollevò un mezzo scandalo esigendo la segregazione degli arazzi perché uno era immorale. Ma in quei giorni la vita era come la famosa corsa di Alice nel paese delle meraviglie, c’era un premio per ogni concorrente...". (Da L’Età del jazz, Garzanti, 1976). La prefazione di questo libro è di Elèmire Zolla, tra i primi a cogliere la novità di Esperienze Pastorali sotto il profilo culturale italiano, probabilmente in contatto epistolare col priore di S. Andrea in Barbiana e da lui citato in un passo delle lettere a Alice Edvige Weiss (cfr. edizione integrale, annotata, Pietro Marietti, Genova, a cura di Giuseppe Battelli).
Come dimenticare che anche don Milani in Esperienze Pastorali quando descrive il colloquio tra Mauro, un giovane parrocchiano senza lavoro di San Donato di Calenzano e l’industriale al quale il giovane parroco l’aveva raccomandato, aveva dovuto accettare un trattamento analogo?
E che dire del colloquio reso pubblico tra Fioretta Mazzei e don Milani al succitato convegno del 1980? La Mazzei aveva intercettato nella stesura originaria di Lettera a una professoressa alcune espressioni come ‘troia’ riferito alla professoressa che aveva bocciato alcuni allievi della Scuola di Barbiana. La Mazzei suggeriva di eliminare quell’espressione e il titolare della Libreria Editrice Fiorentina si diceva d’accordo. In un ulteriore colloquio, eliminata quell’espressione insultante, emerge: "Dico io (la Mazzei; n.d.MDG) "Com’è andata?" "Ha cambiato qualcosina, ha tolto qualcosa" (replica don Milani; n.d.MDG). Allora io "Naturalmente le esclamazioni" (cioè l’epiteto insultante; n.d.MDG). E lui (con ironia; n.d.MDG) "Sì effettivamente le ha levate, però nelle edizioni postume ce le rimetteranno perché avevano una grande importanza"" (cfr. Don Milani tra solitudine e Vangelo, edizioni Borla, pag. 288).
L’auspicio che qui viene formulato è che una volta costituita la ‘Fondazione Don Lorenzo Milani’, il suo comitato scientifico provveda almeno a ripristinare i brani omessi tra parentesi quadre tuttora presenti nell’edizione mondadoriana degli scritti di don Milani. Pecorini ha parlato di "sciocchi tagli prudenziali", tuttavia un testo da lui ripristinato nel libro che ha curato Lorenzo Milani I Care ancora (Emi editore, Bologna, 2001) e proposto in versione integrale anche da Don Milani tra solitudine e Vangelo, documenta che la logica o la dinamica che ha guidato quelle omissioni è ben lungi dall’essere ancora chiara del tutto.
Nella lettera di don Milani a Niccolò Di Suni da Barbiana del 24 settembre 1958, dentro la parentesi quadra è finito questo brano: "Ed è appunto di questa lettera o di un articolo del genere che io le volevo riparlare oggi. Le son grato di avermi offerto di ridurre io stesso o i miei amici a articolo quella lettera, ma non lo faccio punto volentieri e son di nuovo a pregarla di farlo lei stesso. Adesso di don Mazzolari o Politica di Pistelli o Quest’Italia di Dorigo (Wladimiro, ex capo ufficio stampa centrale dell’Azione Cattolica Italiana, minacciato di un foglio di via da parte del Ministero dell’Interno durante la crisi legata a Mario Rossi ai vertici della Giac; n.d.MDG) o Stato democratico di Granelli (Luigi, deputato della Democrazia Cristiana, la cui elezione non era stata incoraggiata dall’allora arcivescovo di Milano cardinale Giovan Battista Montini, in quanto esponente della corrente di ‘Base’. Granelli è scomparso da tempo; n.d.MDG) sarebbero, io credo, ben contenti di ospitarla e chissà quanti altri periodici farebbero lo stesso. Lo prepari dunque e lo mandi prima che come mi pare stia avvenendo la polemica (intorno a Esperienze Pastorali; n.d.MDG) degeneri. Io non conosco don Prunas (Tola Antonio, in contatto con la famiglia Di Suni e che aveva fatto pervenire a quell’interlocutore di don Milani una copia di Esperienze Pastorali; don Prunas -scomparso- era in contatto con don Luigi Rosadoni, un sacerdote noto a don Milani e che aveva recensito Esperienze Pastorali ne Il focolare di Firenze con lo pseudonimo di Vincenzo Casini, anch’egli scomparso; n.d.MDG) e non ho avuto corrispondenza con lui. Se lei dunque mi vorrà contentare avverta anche lui e gli domandi se lui ha modo di pubblicarla. Jemolo (Carlo Arturo; n.d.MDG) ha suscitato tanti strascichi di risposte (con un articolo ne La Stampa dove aveva citato anche Esperienze Pastorali; n.d.MDG) ma è stato un gran superficiale. La Voce Repubblicana del 23 sett. ’58 (con un articolo intitolato Cellula e parrocchia di Giuseppe Tramarollo; n.d.MDG) lo è stata ancor di più".
Diego Cipriani nel mensile Mosaico di Pace, espressione della sezione italiana di Pax Christi Internationalis (gennaio 2002), ha sollecitato il varo di un’opera omnia degli scritti di don Lorenzo Milani.
Quale accoglienza concreta potrà avere quell’appello è, al momento, difficile prevedere.
Quel che è certo è che mentre i documenti legati a don Lorenzo Milani crescono di numero, mese dopo mese, nei vari circuiti Internet, c’è ancora molto da lavorare per chi, uomo o donna, credente nel Vangelo o uomo e donna di semplice ‘buona volonta’ voglia contribuire a rendere ancor più completa la conoscenza di un testimone radicale e urticante della spinta propulsiva di liberazione legata a un uomo (figlio di Dio per altri e per altre) crocefisso diversi secoli or sono in cima al Monte Golgota e sconfitto, secondo le categorie umane e storiche del suo tempo, così come un perdente appariva, nel cimiterino di Sant’Andrea di Barbiana, il 28 giugno 1967 (giorno delle esequie) don Lorenzo Milani.
In tale contesto, merita infine di essere segnalato uno scritto di Anna Carfora, legata all’Istituto di Scienze Religiose ‘San Giuseppe Moscati’ di Avellino, che, tra i primi, sbreccia uno stereotipo consolidato su don Milani: il suo essere stato ‘conservatore’ in materia di ortodossia e avanzato, invece, sul piano sociale.
Ella individua una via, quasi da ‘sherpa’ e tuttavia innovativa, di don Milani di avvicinarsi alla confessione, anche in relazione ai problemi sociali che emergevano a Barbiana, spesso soffocanti, come l’accesso da parte delle famiglie contadine a sorgenti d’acqua soggette a una conduzione padronale gretta e chiusa.
"Possedere la verità -rileva Anna Carfora- significa essere veggenti, profeti, procacciatori di futuro; dal possedere la verità e i sacramenti non può non conseguire il possesso di una marcia in più. Se don Milani seppe riconoscere con immediata chiarezza ‘a chi appartengono le polle d’acqua che sgorgano nel prato di un ricco, in un paesino di poveri’ e seppe anche dirlo con forza è perché la sua ‘tridentina’ visione era quella del profeta che non si preoccupa di coniugare la verità con il presente che passa ma che ha le sue radici in una fedeltà sostanziale che muove e urta il cuore di sempre".
È un ulteriore contributo alla via (ancora lunga) per giungere a una lettura demitizzata, nel senso migliore del termine, del priore di Barbiana, nell’era del dopo Muro di Berlino.
Maurizio Di Giacomo*
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Questa prefazione è dedicata alla memoria di Lamberto Furno (La Spezia 7 agosto 1924 - Roma 17 novembre 2001), ex partigiano di una formazione antifascista di matrice cattolica; vaticanista per diversi anni, prima de Il Sole 24 Ore (Milano) poi de La Stampa (Torino).
Roma 13 marzo 2002
Note del curatore
A sette lustri dalla scomparsa di Lorenzo Milani, questo volume propone un’ampia selezione di articoli, scelti tra quelli che meglio possono contribuire alla ricostruzione del clima e dei toni che per molti anni hanno caratterizzato la discussione intorno alla sua figura di uomo, di prete, di educatore.
Come ogni scelta, anche la presente è ampiamente discutibile: molti degli scritti esclusi hanno avuto, nella storia del dibattito attorno alla figura del Priore, un’importanza almeno pari a quella degli articoli e saggi qui riportati. Di questo ne diamo atto agli assenti e ci scusiamo per le esclusioni. Del resto il progetto originario del libro prevedeva la pubblicazione di un numero di articoli più che doppio rispetto a quello del presente volume.
La difficoltà della ricerca ed i tempi lunghi per una pubblicazione integrale hanno indotto a ridimensionare il progetto, limitando in quantità, ma speriamo non in qualità, il contenuto del libro.
Inoltre, motivi editoriali e di contenimento dei costi di pubblicazione hanno indotto l’Editore a destinare sul solo CD-Rom allegato al volume una parte degli articoli già selezionati e pronti per la pubblicazione.
Si è cercato di presentare qui molti dei documenti originali che hanno segnato alcuni momenti nodali del dibattito, a partire dai temi che all’epoca furono i più scottanti fino a quelli che ancora oggi possono ben dirsi attuali.
Si è cercato di fornire una panoramica ampia e non di parte, dando spazio alle posizioni più diverse, comprese quelle che, almeno dal nostro punto di vista, sono tutt’altro che accettabili.
Sono qui riportati scritti elogiativi o commemorativi, assieme ad altri di analisi critica od anche duramente polemici, quando non addirittura denigratori.
Il volume si presenta come un agile strumento per la ricerca, grazie ad un attento lavoro di archivio che ha consentito il recupero di articoli altrimenti difficili da reperire, talvolta pressoché introvabili, che vengono qui riportati nella loro versione integrale.
Gli articoli sono stati riprodotti esattamente come apparvero sulla stampa nella versione originale. Ci si è limitati a rimuovere alcuni evidenti refùsi, ma si è comunque voluto fornire al lettore ed allo studioso la documentazione del cambiamento e della correzione effettuata. A tale scopo si sono utilizzate delle parentesi quadre, ed in esse si è inserito il testo quale risulta successivamente alla correzione.
E, d’altro verso, questa antologia vuole anche costituire un primo strumento affinché il lettore comune, non specialista, non ricercatore, possa avvicinarsi e cominciare a conoscere i nuclei sostanziali del pensiero milaniano a partire dai temi e dalle ragioni del dibattito su di esso: un dibattito che ha inizio nel lontano 1958.
All’antologia viene allegato un CD-Rom nel quale, oltre al testo degli scritti raccolti nel volume, se ne aggiungono altri di pari interesse e rilevanza, che per motivi di spazio risultano invece omessi nell’edizione cartacea.
Il CD contiene inoltre il testo completo del Catalogo bibliografico Don Lorenzo Milani nei mass media, uscito nel 1999 presso queste edizioni ad opera del medesimo curatore.
Il catalogo viene qui fornito in edizione riveduta e corretta, ed è arricchito dall’aggiunta, per ciascuna voce del catalogo, di un abstract che ne illustra il contenuto, in tal modo rendendo questo lavoro un aiuto prezioso per lo studioso ed il ricercatore.
La prefazione al libro è opera di Maurizio Di Giacomo, noto studioso milaniano, del quale le Edizioni Borla hanno da pochi mesi pubblicato il pregevole saggio Don Milani tra solitudine e Vangelo, giunto, nel febbraio 2002, alla seconda edizione.