1966
L’articolo è citato in Cristofanelli (1975).
Articolo citato nello schedario del Centro di Documentazione "Don Milani" di Vicchio.
Articolo citato nello schedario del Centro di Documentazione "Don Milani" di Vicchio.
L’articolo polemizza con Il breviario del prete rosso apparso nel novembre 1965 su Lo Specchio e con Prete e maestro esemplare? pubblicato nel dicembre dello stesso anno da L’Eco della Scuola Nuova: in tali articoli erano contenuti duri attacchi a don Milani.
Articolo citato nello schedario del Centro di Documentazione "Don Milani" di Vicchio.
Si tratta di alcune lettere al direttore della rivista. Citato in Riccioni (1974).
Citato in Riccioni (1974).
Un trafiletto di 50 righe con la notizia.
Resoconto del processo.
Altro articolo di cronaca del processo a don Milani, che riporta brani delle arringhe del Pubblico Ministero e dell’avvocato difensore.
È lo stesso articolo de La Nazione.
L’articolo è citato in Cristofanelli (1975). L’autore ha firmato altri articoli su don Milani con le sole iniziali G. G.
La motivazione della sentenza di assoluzione del priore.
Per l’autore la sentenza "ha dato la migliore risposta ad una ignobile speculazione politica".
Un trafiletto di 35 righe con la notizia.
Un editoriale per ricordare che la posizione del PCI è diversa da quella di Milani, sul problema degli eserciti di massa, da preferirsi agli eserciti professionali.
La notizia dell’esito del processo.
Un commento al processo contro il priore.
Si tratta della trascrizione parziale del dibattito svoltosi ad una tavola rotonda presso la libreria "Paesi Nuovi", a Roma, sull’obiezione di coscienza e sulla Lettera ai giudici.
L’autore, un cappellano militare, afferma che "sacerdoti come Padre Balducci, don Milani, Don Rosadoni si nascondono dietro il dito del Concilio".
Ricorda l’emozione "vivissima" di chi ha visto la scuola di Milani a Barbiana.
Citato in Riccioni (1974).
L’autore attacca duramente padre Balducci, don Milani e don Rosadoni, criticando l’assoluzione di Milani al processo.
Pur definendo "singolari" le tesi di Milani, riconosce che il problema dell’obiezione va risolto come si è fatto in altre nazioni civili.
Vengono riportate le motivazioni ed il dispositivo della sentenza del processo, con il riconoscimento che, da parte di Milani, si è trattato della semplice espressione di un’opinione.
Riporta le motivazioni della sentenza assolutoria.
L’articolo riporta l’opinione del tribunale che ha ritenuto, secondo l’autore, che le Forze Armate siano state vilipese da don Milani, e sia stato offeso l’onore di un capo di Stato estero.
L’autore scrive che con Milani "è morto un grande maestro". Citato in Riccioni (1974).
L’autore afferma che "Iddio fa impazzire coloro che vuol perdere", con un preciso riferimento alla malattia di don Milani. Citato in Riccioni (1974).
L’articolo (firmato Il Passatore) afferma che Milani è un "Socrate a rovescio", che "insegna ai suoi ragazzi a disobbedire alle leggi dello Stato". Ad esso replicherà Zangrilli su Il Ponte nel gennaio 1966.
Si parla del processo d’appello contro don Milani. Citato in Riccioni (1974).
Cartoni dà notizia del processo di appello ormai prossimo.
L’autore parla degli "adolescenti di Barbiana […] condannati dalla Sua ‘carità’ pastorale a vivere in una scuola ‘austera che non conosce ricreazione né vacanza’ […] sottoposti ad un incessante martellamento per essere imbottiti di nozioni che non possono capire".
-¥-
L’autore parla estesamente nel suo libro, che ha una prefazione scritta da La Pira, della vicenda della Risposta ai cappellani militari e della Lettera ai giudici. L’opera è disponibile nell’archivio del Centro di Documentazione "Don Milani" di Vicchio.
1967
Si tratta delle motivazioni della sentenza di assoluzione. L’articolo è citato in Riccioni (1974).
Una recensione del libro di Barbiana.
Un breve articoletto che riporta alcuni brani di Lettera a una professoressa e definisce Barbiana "la scuola del non conformismo". È citato in Riccioni (1974).
Si sostiene, recensendo Lettera a una professoressa, che "questi ragazzi ripetono principi pedagogici che hanno trionfato da decenni nei paesi più avanzati" e che certe proposte "sembrano pazzesche soltanto a chi ignori quel che è stata l’evoluzione della scuola, da mezzo secolo" in molti Paesi del mondo.
L’autore della recensione ritiene che "a molti il libro farà l’effetto di un pugno tremendo nello stomaco […] un libro straordinario".
Questo articolo viene ricordato dall’autrice al convegno di Vicchio su "Don Milani e la pedagogia della educazione alla pace". Esso fu pubblicato sul giornale fondato da Adriano Milani.
Recensione al libro Lettera a una professoressa, citata in Riccioni (1974), ma con il nome dell’autrice errato. Per l’autrice, il libro "farà più male alla reazione di una grande battaglia perduta".
Una lunga recensione di Lettera a una professoressa. L’autore scrive che i ragazzi di Barbiana "esprimono la protesta del mondo contadino e propongono una rivoluzione culturale […] senza violenze e senza sfilate ma non per questo meno dirompente". Citato in Riccioni (1974), che però lo attribuisce ad autore anonimo.
Secondo l’autore della recensione, il libro Lettera a una professoressa, non vuole distruggere la scuola, "la vuole migliorare".
L’autore, dopo aver scritto "Abbiamo letto il vostro libro. Per noi è un libro importante", critica da sinistra alcuni punti nodali di Lettera a una professoressa, sottolineando anche l’impossibilità di un cambiamento sociale da ottenersi mediante una maggioranza parlamentare.
"Finalmente un libro che sconvolge le acque tranquille dell’idillio politico-pedagogico-didattico che ha avvolto e avvolge ancora la nuova Scuola Media". L’autrice evidenzia comunque "la fondamentale contraddizione […] fra la rivolta di tipo classista […] e le proposte di tipo riformista". Si tratta di una recensione a Lettera a una professoressa che è citata in Riccioni (1974).
Recensione a Lettera a una professoressa. L’autore lo definisce "un libro insolito per due ragioni: 1) è un fatto più unico che raro che in Italia si esprima, in modi del tutto autentici, non un senso di frustrazione individuale, ma una rabbia collettiva, consapevole di sé, che sa documentarsi con dati oggettivi; 2) è una dellepoche volte che, in Italia, il "popolo" prende la parola in prima persona".
Una recensione molto favorevole del libro della Scuola di Barbiana, al punto di affermare che l’autore darebbe a Milani il premio Viareggio.
Recensione a Lettera a una professoressa, citata in Riccioni (1974). Per l’autore si tratta del "libro italiano più commentato dell’anno".
L’autrice dell’articolo ritiene che Lettera a una professoressa sia un "terribile documento". L’articolo, citato da Riccioni (1974), riporta solo un riferimento indiretto, tramite la recensione di Astrolabio.
Si afferma che "il sasso nello stagno è stato lanciato […] eppure lo scandalo vero è che sussista una situazione che permette a documenti come quello di cui si sta parlando, di possedere una fortissima carica di verità".
L’autore della recensione ritiene che "il grave e tremendo limite della "Lettera" è che vi manca l’amore. Non c’è nessuna speranza. Vi si legge la violenza".
L’autore scrive che la lingua "di questi ragazzi taglia e cuce, speriamo che tanti si sentano a disagio in questo vestito e se ne facciano uno nuovo".
Una recensione a Lettera a una professoressa, "scritto per i genitori, questo è un libro da leggere per tutti coloro che vivono nella scuola". L’articolo è citato due volte in Riccioni (1974), con attribuzioni diverse.
Una lettera ai ragazzi di Barbiana, in cui li ringrazia per avergli inviato una cartolina con la segnalazione del libro. Della lettera, pubblicata integralmente su Testimonianze assieme alla risposta dei ragazzi, qui viene riportata solo la parte che si riferisce alla responsabilità degli insegnanti.
Questa recensione a Lettera a una professoressa sostiene che si tratta di "una denuncia forse troppo polemica e parziale per essere convincente".
L’autore della recensione scrive che il libro "è il risultato non di un’idea nata a tavolino o derivata da una ricerca di studio ma di un’attività concreta di promozione culturale e sociale". Nello stesso numero della rivista appaiono anche altri articoli sul priore. Un breve corsivo dal titolo Scuola buona e scuola cattiva, e due pezzi intitolati Don Milani in tribunale e La parola a Don Milani.
L’autore della recensione, riconoscendo ai ragazzi di Barbiana la loro "serietà", aveva affermato esservi un punto sul quale non si poteva non polemizzare: in nessun luogo, neppure a Barbiana, vi era il diritto di sottovalutare la scienza e la cultura, senza il rispetto delle quali esse sarebbero state abbandonate nelle mani dei "padroni".
L’articolo del quotidiano napoletano di estrema destra parla di un libro anonimo "per un calcolo sottile" e di "semplificazione popolana e violenta del discorso ad uso esclusivo dei citrulli".
Questa recensione sostiene che Lettera a una professoressa, "un libello […] che più che altro serve a provocare, a disturbare le coscienze", può essere utile "più agli individui che ai sistemi".
La recensione parla di Lettera a una professoressa come di "un libro appassionante, di grande lettura", anche se "si sente talvolta in queste pagine l’eco di una impostazione elementare, ‘contadina’, che non può trovarci consenzienti senza una discussione adeguata".
Secondo l’autore della breve recensione, siglata A. C., il libro "fa l’effetto d’un fiotto di luce improvvisa in una stanza semibuia".
Si tratta della seconda parte dell’articolo apparso sul numero precedente della rivista. Lettera a una professoressa è definita "corrosiva ma calzante". È citato in Riccioni (1974).
È una lettera al direttore del giornale, scritta da un insegnante che si firma A. D. e che cita brevissimamente la recensione de L’Espresso a Lettera a una professoressa. È citata in Riccioni (1974).
Si afferma che Milani ed i suoi allievi erano "coraggiosi, generosi, pronti ad assumere le posizioni più scomode ed anticonformiste".
Si afferma che Milani "era una delle figure più espressive del sacerdozio fiorentino".
Secondo l’autore, Milani "coraggioso e battagliero parroco […] era una delle figure più rappresentative del clero progressista".
Un necrologio in cui si scrive che la scomparsa del priore "ha suscitato profondo cordoglio". Citato in Riccioni (1974).
Un articolo-necrologio con la notizia.
Breve articolo, in cui si scrive che Milani "per far presa sui giovani proletari della sua parrocchia non ha creduto di far di meglio che condividerne in pieno il più rigido ed esasperato classismo". Citato in Riccioni (1974), ma con titolo inesatto.
L’articolo giudica Milani un sacerdote "compianto", e scrive che "grande è stato il dolore e la commozione per la sua scomparsa".
Un necrologio di don Milani, siglato G. G. Si afferma che Milani "pensava ad un mondo [...] allenato ad una serrata tensione civile, impregnato di passione per le sorti del paese e dell’umanità".
Scrive l’autore: "la sua sincerità, il suo linguaggio aspro e duro […] lo fecero considerare, a sproposito, un pesce rosso nell’acquasantiera. […] Era, questo sì, un prete scomodo, un guastafeste".
L’autore scrive in questa occasione che, pur non condividendone le idee, "davanti alla fermezza con cui questo parroco di campagna difese sempre i propri principi morali, non possiamo oggi non sentirci deferenti e commossi".
Il necrologio ricorda l’incriminazione ed il processo da cui il priore fu assolto. È citato in Riccioni (1974).
Breve trafiletto citato in Riccioni (1974).
È un trafiletto di diciotto righe che ricorda anche la recente assoluzione del priore al processo di Roma.
L’articolo sostiene che la scomparsa di Milani, "battagliero sacerdote" e fondatore di una scuola "i cui metodi didattici avevano sollevato polemiche", "arreca unanime cordoglio".
L’autore definisce Milani "un educatore sempre coerente nella sua azione [...], fortemente impegnato nella vita politica e sociale". È lo stesso articolo pubblicato da Il Lavoro Nuovo. È citato in Riccioni, con il titolo Don Milani: una vita per creare giustizia.
L’articolo -che Riccioni (1974) cita due volte sotto lo stesso titolo nelle diverse edizioni di Milano e di Roma- riporta la frase di Milani (tratta dalla Lettera ai giudici) il quale ricordava che la sua "tecnica d’amore costruttivo per la legge" l’aveva imparata insieme ai ragazzi mentre leggeva il Critone, l’Apologia di Socrate, Il Vangelo, l’Autobiografia di Gandhi, Le lettere del pilota di Hiroshima. Per l’autore Milani "era un uomo eccezionale, che si sottraeva ad ogni catalogazione, che sfuggiva agli schemi di comodo".
Per l’autore di questo lungo articolo, "Milani insegnava ai ragazzi il misterioso cammino della vita, il coraggio di non cedere mai alla menzogna, costi quel che costi". In esso l’autore riconosce a Milani "coscienza integra e intransigente" e di aver abituato i suoi allievi "a non scambiare gli ideali autentici con la retorica e il conformismo".
In questo lungo necrologio, l’autore scrive che in Milani vi era "sete di anime".
Il breve articolo, citato in Riccioni (1974), contiene un evidente réfuso nel titolo.
L’autore scrive che Milani "fu una figura esemplare, la cui schiettezza e onestà meritano d’essere ricordate".
Breve trafiletto citato in Riccioni (1974).
L’autore, commemorandone la morte, scrive di Milani che "la sua grandezza deve essere ancora scoperta e detta [...] Tutto il suo programma spirituale può essere riassunto così: tacere per ascoltare i poveri, per ascoltare Dio. […] Le parole di don Milani davano noia perché erano divenute una cosa sola con la parola dei poveri". Questo articolo è stato ripubblicato da Riccioni (1974) nella sua "breve antologia critica".
Un altro necrologio: la sua notorietà era dovuta ad atteggiamenti clamorosi e discussi, come appunto la difesa degli obiettori di coscienza e delle tesi care ai comunisti in fatto di "dialogo"".
L’articolo è citato in Riccioni (1974), ma con il titolo inesatto. "Ora il sipario è calato sulla polemica, sulla lotta, sulla "scuola popolare" che forse non sopravviverà al suo fondatore".
Si scrive che la morte del priore "crea un vuoto doloroso nel mondo cattolico italiano", ma che "al di là delle profonde divergenze che ci dividevano dalle posizioni ideali e pratiche di don Lorenzo Milani, la redazione di Rinascita sente tutta intera la gravità della sua perdita".
"Un sacerdote in difesa degli obiettori di coscienza. ha scatenato una battaglia su un terreno minato non indifferente". Citato in Riccioni (1974).
L’articolo riporta brani da Esperienze pastorali e Lettera a una professoressa, e si affianca all’articolo di S. Stillo Don Milani - Maestro dei poveri.
Nella recensione si scrive che è "un libretto intelligente, animoso, coraggioso".
Si tratta di un manifesto in cui si commemora la morte del priore e si ringrazia Milani per "averci insegnato quanta violenza, quanta durezza occorre [...] perché l’amore [...] diventi energia per costruire un mondo di giustizia e di pace per tutti".
Una recensione citata in Riccioni (1974).
Milani applicava "la "tecnica d’amore" [...] al suo piccolo mondo assetato di carità, uguaglianza, giustizia, di pace, di sapere". Citato in Riccioni (1974).
Un necrologio del priore di Barbiana.
Si tratta di una breve nota scritta subito dopo la morte del priore, che verrà anche ripubblicata in Diario dell’esodo 1960/70, e successivamente in L’insegnamento di don Lorenzo Milani, una antologia di scritti di padre Balducci raccolti a cura di Mario Gennari (1995). L’autore sostiene che a Milani "giovava l’essere senza genealogia spirituale e senza modelli di riferimento", nel suo affrontare il sistema ecclesiastico, politico, sociale, "colpendolo alle radici della conformazione vigente". Pur riconoscendo di non essere nel numero di quelli "che si sono convertiti a lui", Balducci dà atto a Milani di aver rappresentato con la sua particolarità "un segno di nuove possibilità morali e religiose da non dimenticare più".
Recensione a Lettera a una professoressa, in cui il libro è definito "aperto e intrepido".
Per l’autore, don Milani "mette la sua vita e tutta la sua energia [...] perché venga un mondo pulito, puro, di vera giustizia". Citato in Simeone (1996).
Altra recensione a Lettera a una professoressa.
Si riporta integralmente la lettera già pubblicata parzialmente in Pianificazione Siciliana. Citato in Cristofanelli (1975) e in Riccioni (1974).
Con una breve nota dell’autore, in cui si afferma che molti redattori e amici della rivista hanno verso Milani "un debito di gratitudine [...] grande e ricco di affetto e venerazione", vengono qui presentate una lettera del professor Adriano Gozzini ai ragazzi di Barbiana e la risposta dei ragazzi e del loro maestro. Mentre Gozzini afferma di essere rimasto emozionato dalla Lettera a una professoressa, che dice essere "un capolavoro di umanità, di autentico spirito rivoluzionario, un grido di amore per l’uomo", ed elenca due punti di dissenso con essa (primo, l’identificare la scuola con la professoressa; secondo, l’escludere dalla scuola dell’obbligo le materie scientifiche), terminando col dire che occorre "fare del libro una bandiera per una rivoluzione culturale", come i cinesi col libretto dei pensieri di Mao Tse-tung. I ragazzi di don Milani, pur riconoscendo il fatto che anche le professoresse siano le vittime più duramente colpite dalla scuola, tuttavia ritengono che per esse pure valga il discorso sull’obbedienza che non è più una virtù.
Recensione al libro di Milani. L’articolo è citato in Pecorini (1967c). In esso l’autore, direttore della scuola all’aperto "Casa del Sole" di Milano, scrive che "è necessario rimettere in discussione tutto [...], valutare serenamente il nostro lavoro senza preconcetti".
Per l’autore, don Milani "cercava un impiego assoluto, un servizio totale agli altri". L’autore ricorda che nel numero di aprile-maggio della rivista è stato pubblicato "un articolo con passi del libro" Lettera a una professoressa. Vengono qui pubblicati passi da Esperienze pastorali e da L’obbedienza non è più una virtù.
Una recensione a Lettera a una professoressa, citata in Riccioni (1974). L’autore annota che "l’ultimo libro di Don Milani non è stato scritto da lui".
Citato in Cristofanelli (1975).
L’autore definisce Milani "maestro, soprattutto di libertà. Di quella difficile libertà che comporta un atteggiamento di prima linea che, agli occhi della gente, spesso sembra di provocazione".
Commemorando Milani, l’articolo afferma che egli fu "cosciente e buono, vero amico dell’uomo, della verità e della giustizia, maestro per vocazione e per natura" "Noi consideriamo la perdita di questo degno uomo come una perdita nostra".
Secondo l’autore "tutti perciò sentiamo ora il bisogno [...] d’inchinarci davanti alla sua vigorosa figura di uomo e di sacerdote".
Citato in Riccioni (1974).
Il servizio qui pubblicato è una trascrizione parziale della conversazione registrata nel dicembre 1965 a Barbiana, e porta come sottotitolo Da una registrazione inedita, il ritratto pungente e vero di un uomo caro all’Italia migliore. Riguardo alla qualità di questa trascrizione riportata su L’Avanti!, Giorgio Pecorini (1996) parla esplicitamente di "trascrizione manipolata". Mario Cartoni -che nel ’68 acquistò da Coccia il nastro e ne fece copie per i familiari e gli amici di Milani- in una lettera a Pecorini (ibidem, pag. 340-342) definisce l’edizione de L’Avanti! "abbondantemente purgata e mutilata". Questo articolo è stato ripubblicato da Riccioni (1974) nella sua "breve antologia critica". La trascrizione della registrazione è stata pubblicata successivamente anche in Fallaci (1974), Toschi (1994) e Pecorini (1996): qualche brano nel primo, ampi stralci nel secondo, integralmente nel terzo libro.
L’autrice scrive che Milani che "ha ormai formato i suoi "pari", capaci di trasmettere e ampiare il suo messaggio […] non è un uomo da onorare semplicemente con la commozione della sepoltura".
L’autore scrive che Milani, "in un altro Paese, meno pigro del nostro, sarebbe stato un grande leader: in Italia era soltanto un "caso". […] Ma la sua testimonianza non passa: ha messo radici e sta macerandosi nella buona terra per consentire ad altri di coglierne i frutti".
L’autore scrive che i protestanti hanno "rispettato e osservato con simpatia" don Milani, nonostante la sua "intransigenza dura fino a una sorta di incomunicabilità" e il "suo dogmatismo tanto più accanito in una ortodossia senza concessioni".
L’autore dice di Milani che "a vent’anni era ricco di beni, di parola, di cultura. A quaranta era enormemente più ricco: i poveri avevano moltiplicato la ricchezza iniziale".
L’autore scrive in questa recensione che il libro Lettera a una professoressa "non è lo sfogo di animi esacerbati, ma un serio e sensatissimo appello a tutta la società italiana, un appello che non deve restare inascoltato". L’articolo è citato da Riccioni (1974), il quale ne dà però un titolo inesatto.
Breve trafiletto citato in Riccioni (1974), il quale ricorda che Milani viene definito "valoroso sacerdote".
Secondo l’autore, "la vita e il sacerdozio di don Milani sono stati la testimonianza e verifica di questa coscienza [di essere stata fondata per i poveri e per i sofferenti. N.d.R.] della Chiesa".
L’autore scrive che Milani "come tutti i profeti ha vissuto e testimoniato senza paura […] i suoi interventi furono "scandalosi", privi di quella diplomazia che sola assicura carriera e quieto vivere […] egli, l’esame di coscienza lo faceva con se sttesso, prima che con gli altri".
L’autrice scrive che il libro Lettera a una professoressa "chiede che tutti ci sgombriamo dai pregiudizi che adombrano la nostra azione" ed i ragazzi di Barbiana "chiedono ad alta voce di essere reintegrati nei loro diritti".
L’articolo, siglato L. G., è citato in Riccioni (1974).
Nell’articolo si afferma che Milani è morto "nella piena coerenza delle sue idee cristiane". Viene poi presentato Lettera a una professoressa: "non vi può essere dubbio che la paternità del libro risalga alla stesso sacerdote".
Citato in Riccioni (1974).
Per l’autore, don Milani aveva diritto al titolo di Maestro, "a questo titolo che è di così pochi" perché riusciva "a plasmare, a svegliare delle coscienze".
Una recensione del libro di Barbiana.
Il giornale socialista ricorda che nell’aprile del ’65 aveva dedicato al priore un intero numero e scrive che don Milani "si è rivelato buon sacerdote". Si tratta di un articolo su quattro colonne, citato in Riccioni (1974).
L’autore scrive che Milani "che ha il dono e il gusto dell’educatore", era "un uomo-prete assetato fino allo spasimo di solidarietà d’amore, da parte della sua chiesa". Si tratta della riproposizione, preceduta da un brevissimo corsivo redazionale, di un articolo apparso sulla stessa rivista nell’ottobre del ’65, nel quale l’autore narrava il suo incontro col priore.
Breve necrologio citato in Riccioni (1974).
Per Nesi, don Milani "ha avuto nella obbedienza il suo pregio, il suo titolo ed il suo merito […] preghiera e azione, pensiero e vita […] restavano in lui uniti".
Il sacerdozio di Milani è stato così fecondo "perché quello che ha detto, l’ha fatto e l’ha pagato di persona". Citato in Riccioni (1974).
Per l’autore, Milani "ha adempiuto ad una missione importante: frustare evangelicamente il nostro dormiveglia religioso […] fu un resistente al materialismo del mondo civile e un devoto del Vangelo".
Chi scrive l’articolo afferma che, pur non avendo idee come le proprie, Milani lo "aiutava a scoprire [...] l’aspetto più aperto dell’avvenire". Questo articolo è citato in Capecchi (1967).
Dopo i funerali di don Milani, l’autore ne mette in risalto l’obbedienza alla propria chiesa, come una delle caratteristiche del comportamento del priore di Barbiana. Essa "nasce da una disposizione interiore unica nel suo genere, così come è unica la sua fisionomia". Questo articolo è stato ripubblicato da Riccioni (1974) nella sua "breve antologia critica".
L’articolo-necrologio parla di Milani come di un sacerdote "ortodosso […] sino allo spasimo", che si piegò all’ordine del Sant’Uffizio relativo al ritiro dal commercio di Esperienze pastorali, "ma continuò ovviamente per la sua strada". L’articolo è citato per due volte in Riccioni (1974) che la seconda volta lo attribuisce a N. Fabbretti.
Una recensione di Lettera a una professoressa: per l’autore, Milani "si muoveva [...] veramente nel Vangelo".
Recensione a Lettera a una professoressa, citata in Riccioni (1974).
Per l’autore di questo necrologio, Milani "fu in Italia il più "scandaloso" assertore del pacifismo e della non violenza".
Una recensione citata in Cristofanelli (1975).
L’autore della recensione così definisce Lettera a una professoressa: "uno splendido testamento questo che ci ha lasciato l’incantevole Priore di Barbiana; pagine di cristallo, degne di figurare vicino ai più famosi classici esempi di pamphlet illuministico ad alto livello […] dovremmo adottarlo questo volumetto […] e sarebbe omaggio d’altronde doveroso verso questo solitario e impareggiabile collega".
L’autore di questa recensione a Lettera a una professoressa scrive che "è giusto che la sua posizione di maestro anche per la Chiesa sia riconosciuta".
L’articolo è citato in Pecorini (1967). In esso l’autore ricorda Lettera a una professoressa definendolo "un libro che ogni insegnante dovrebbe leggere, magari per dissentire da certi drastici giudizi del battagliero sacerdote".
In questo servizio giornalistico realizzato dopo la morte del priore, l’autore ricorda, attraverso le testimonianze di alcuni allievi della scuola di Barbiana e di Adele Corradi, come nacque l’idea di scrivere Lettera a una professoressa, in seguito a ripetuti infortuni scolastici capitati ad alcuni allievi di Milani che frequentavano l’istituto magistrale. Si narra anche di come i ragazzi di Barbiana hanno scritto il libro.
L’autore scrive che con la morte di Milani "un soprassalto improvviso ha attraversato la coscienza".
Breve articolo, in cui si invita a leggere Lettera a una professoressa. Citato in Riccioni (1974).
Una recensione del libro di Barbiana.
Un articolo su Lettera a una professoressa, "libro carico di rabbia e di amore".
Scrive l’autore della recensione: "Ancora una volta il fascino, la chiamata di questo libro-uomo è nella pratica abolizione dei ‘corpi intermedi’: per quanto parli di collettività fraterna, senti che Milani ha in cuore l’Uno-Tutti, uniti dal trattino dell’immediatezza".
Per l’autore, Milani "adoperava sovente l’arma del paradosso" ed "è davvero un eroe di questo secondo tempo resistenziale". "Dinanzi al pericolo d’una democrazia che si adatta, si piega, si deforma giorno per giorno, e tende a spegnere nell’opportunismo mediocre le ragioni vive della denuncia e della protesta, l’abito sacerdotale di don Milani si agitò dolorosamente come un segnale di allarme. Per questo va onorato e ricordato".
In questa recensione-necrologio al libro della scuola di Barbiana, l’autore definisce don Milani come un prete di montagna che era "un intellettuale di città", che aveva avuto la forza di rifiutare il proprio ceto e la propria cultura.
"Di don Milani si può dir poco, perché troppo è il distacco tra chi ne parla ed il suo esempio. Vorrei definirlo rivoluzionario, obbediente, libero e "parrocchiale"". Citato in Riccioni (1974).
Si afferma che nell’opera della scuola di Barbiana "emerge il (o, almeno, un) punto di vista contadino nei confronti della scuola italiana di oggi" e che il "libriccino" guida alla lotta contro la struttura classista della scuola.
Una recensione a Lettera a una professoressa, in cui l’autore afferma che il difetto della tesi sostenuta nel libro è che "pone sotto accusa gli insegnanti, come se questi non fossero ciechi strumenti e perfino vittime del sistema classista".
Il recensore, dopo alcune righe di necrologio per Lorenzo Milani, sostiene che la Lettera a una professoressa susciterà reazioni dalle quali la scuola ne uscirà "con le ossa rotte". Premesso che le colpe del fenomeno "mortalità scolastica" non si possono attribuire tutte agli insegnanti, è pur vero, secondo l’autore, che essi devono "fare un esame di coscienza per vedere come possono e perché debbano trasformare il loro rapporto coi ragazzi da inquisitorio in educativo". L’autore accenna anche ad alcuni motivi di disaccordo col libro, che riguardano: il celibato degli insegnanti; la proposta di far gestire dai sindacati il doposcuola; la necessità di un livello universitario per la preparazione dei maestri; l’uso pedagogico della "frusta", cioè, fuor di metafora, la necessità o meno di una dura disciplina.
Per l’autore Milani "si fece maestro a tempo pieno". Citato in Riccioni (1974), ma con un errore nell’indicazione della testata.
Citato in Cristofanelli (1975).
L’autore ricorda la personalità di Milani come appariva già ai tempi del seminario, con la sua abitudine a fare interminabili obiezioni che trasformavano la lezione in una vivace apertura sui problemi di attualità. Citato in Riccioni (1974), ma con un errore nell’indicazione della testata.
In questa recensione, Pio Baldelli, dopo un breve necrologio, in cui definisce don Milani uno degli educatori più originali e più validi degli ultimi anni, consiglia la lettura di Lettera a una professoressa "ad adulti e giovani, a genitori e figli, a insegnanti e politici", trattandosi di un documento al tempo stesso "sconvolgente ed esemplare: un processo severo, preciso alle istituzioni scolastiche e al lavoro di numerosi insegnanti". Alla recensione di Baldelli fanno seguito alcuni brani scelti della Lettera a una professoressa ed una breve lettera di Zangrilli (1967b) al giornale.
In questa breve lettera, l’autore, allora direttore didattico a Vicchio di Mugello, promotore della scuola per genitori di Vicchio e Borgo San Lorenzo, ricorda di aver discusso varie volte, per interi pomeriggi, con Milani e i suoi ragazzi, consigliando loro di essere "un tantino più politici con gli insegnanti, senza il coinvolgimento dei quali nessun rinnovamento educativo neppure minimo si potrà attuare".
Altra recensione del libro di Barbiana.
In questa recensione, l’autore scrive che "alla scuola di Barbiana si è imparato a scrivere in italiano come forse pochi autori contemporanei sanno scrivere".
Una recensione del libro di Barbiana.
Per l’autore, Lettera a una professoressa "è degno per grandezza di stile di figurare tra le pagine più decisive dei padri della Chiesa". Si tratta dello stesso testo apparso su L’Educatore italiano.
Assieme alle due recensioni a Lettera a una professoressa, firmate da Cancogni e da Maldè, nello stesso numero della rivista si pubblica questo scritto dei ragazzi della scuola, che è la trascrizione di un colloquio con otto degli allievi di Milani, in cui essi spiegano il metodo di lavoro che ha dato origine al libro. Tra i partecipanti vi sono Francuccio Gesualdi e Edoardo Martinelli.
L’articolo, citato in Capecchi (1967), è una recensione a Lettera a una professoressa: in esso si dice che, a proposito della lingua, "la riforma proposta dai ragazzi di Barbiana assume una portata addirittura rivoluzionaria [...] La nostra lingua è un patrimonio di cui solo pochi possono disporre agevolmente". Dopo la pubblicazione di questo articolo, seguiranno una serie di lettere al Direttore, pubblicate sul n° 36 del 7 settembre, sul n° 40 del 5 ottobre, sul n° 44 del 2 novembre, sul n° 46 del 16 novembre e sul n° 47 del 23 novembre 1967. Questo articolo è stato ripubblicato da Riccioni (1974) nella sua "breve antologia critica".
Presentazione di Lettera a una professoressa, in cui si scrive che "la firma [quella della scuola di Barbiana. N.d.R.] non è falsa. Chi vuole la prova la troverà [...] nel discorso degli stessi ragazzi". Nello stesso numero della rivista (oltre ad un’altra recensione della Lettera ad opera di M. Cancogni) si pubblica infatti uno scritto dei ragazzi della scuola, dal titolo L’abbiamo scritto così, che è la trascrizione di un colloquio con otto degli allievi di Milani, in cui essi spiegano il metodo di lavoro che ha dato origine al libro. L’articolo è firmato con uno pseudonimo redazionale, non potendo l’autore usare il proprio nome per una testata diversa da L’Europeo, a cui era legato con un contratto d’esclusiva. Questo articolo è stato ripubblicato da Riccioni (1974) nella sua "breve antologia critica".
Questa breve recensione definisce il libro (di cui riporta ampi stralci) come "la più violenta documentata denuncia del classismo, dell’inefficienza, dell’ingiustizia del sistema scolastico italiano".
Citato in Riccioni (1974).
Assieme a questa il settimanale pubblica altre tre lettere al Direttore che parlano di Lettera a una professoressa.
Ricostruisce sinteticamente le tappe principali dell’itinerario della vita di Milani e ne illustra le idee sulla società e sulla scuola. Invita i lettori della rivista ad esprimere i propri pareri sulla scuola dell’obbligo, sull’istituto magistrale, sul classismo della scuola attuale, sul non bocciare.
Una lunga recensione a Lettera a una professoressa, citata in Riccioni (1974). L’autrice scrive che "la ‘scuola nuova’ di Barbiana è stata un esempio eccezionale: ha dimostrato che non esistono problemi privati, egoistici".
Il settimanale pubblica alcune lettere al Direttore che parlano di Lettera a una professoressa.
Il settimanale pubblica alcune lettere al Direttore che parlano di Lettera a una professoressa.
Un documentato articolo sulle bocciature nella scuola italiana, citato in Riccioni (1974). Prende lo spunto da una recensione che G. G. Moroni aveva pubblicato sul numero di giugno-luglio de L’Educatore Italiano a proposito di Lettera a una professoressa, libro del quale però Pecorini non parla quasi per nulla in questa sede.
Il settimanale pubblica alcune lettere al Direttore che parlano di Lettera a una professoressa.
Recensione citata in Riccioni (1974) e Cristofanelli (1975).
L’autore riporta un lavoro di "composizione collettiva" scritto dai ragazzi della scuola di Barbiana nel 1963 (porta la data dell’11 novembre) e destinato a lui ed ai suoi allievi di Piàdena. Si tratta di due lettere da Barbiana, pubblicate assieme ad una breve nota di introduzione dello stesso Lodi. Successivamente questi scritti verranno inseriti ne Il paese sbagliato. Più tardi le due lettere da Barbiana verranno pubblicate anche nell’epistolario curato da Michele Gesualdi (1970) e nell’antologia a cura di Riccioni (1982).
Si tratta dello stesso tema trattato anche nell’articolo su Il Dardo: l’autore afferma che "il libro vale più per i problemi che solleva che non per il modo in cui li imposta".
L’autore della recensione scrive che la scuola dell’obbligo "deve insegnare ai giovani ad esprimersi sulle cose vere […] si legga ‘Lettera a una professoressa’, e al di là di quanto possa apparire troppo particolare per essere considerato valido in assoluto […] si faccia proprio lo spirito del libro". Citato in Riccioni (1974), con un errore nell’iniziale del nome.
Citato in Riccioni (1974).
Secondo l’autore, don Milani appartiene "alla schiera di quanti cercano di realizzare il Vangelo sine glossa". Citato in Riccioni (1974), ma con data errata. Pecorini (1967b) definirà "sorprendente" questo intervento dell’allora arcivescovo di Ravenna in difesa di don Milani. L’articolo sarà poi ripubblicato in appendice al volume curato da Colla (1968).
L’articolo, accompagnato da un corsivo siglato D., dà notizia dell’assegnazione a Lettera a una professoressa di un premio letterario.
Per l’autore, Milani "muoveva e faceva muovere il Paese verso una scuola più civile e generosa". Ed egli rivolge ai ragazzi di Barbiana la domanda: "Ma vi siete resi conto che lui e la vostra esperienza erano irripetibili? Che la scuola di Barbiana non sarebbe stata esportabile?".
La notizia è pubblicata con rilievo, con una mezza pagina del quotidiano. Citato in Riccioni (1974).
Questo prete amico di don Milani scrive che il priore di Barbiana, oltre a dare "una "voce ai poveri" l’ha data anche a questa situazione povera dei preti isolati nel clero stesso e immersi in crescente solitudine per la rapida trasformazione socio-economica della montagna".
L’autore scrive che "le accuse al mondo dei professori sono violente, spregiudicate, ma accettabili in gran parte per la lucidità con cui vengono mosse e documentate", anche se alcune affermazioni "possono anche essere non accettabili o facilmente controbattute".
Citato in Riccioni (1974).
A questo editoriale risponderanno i lettori, con lettere pubblicate sulla rivista nei numeri del 25 ottobre e del 25 novembre. Citato in Cristofanelli (1975).
Un commento positivo del libro Lettera a una professoressa, pur prendendo le distanze dalla "rigida contrapposizione" tra cultura popolare e cultura borghese presente nella Lettera a una professoressa.
Si tratta del resoconto di una tavola rotonda sul tema "Un libro che ha fatto scalpore".
Citato in Riccioni (1974).
Si afferma che Lettera a una professoressa "costituisce una cosa nuova nel difficile e complesso mondo dell’insegnamento".
"Non possiamo negare che la lettura di questo suo ultimo libro, che costiituisce uno spietato atto d’accusa verso tutto il nostro sistema scolastico, ci ha profondamente irritati. […] Forse il libro di don Milani dovrebbe essere prescritto dal ministero come lettura obbligatoria per tutti i professori, forse potrebbe costituire il miglior testo d’educazione civica". Citato in Riccioni (1974).
Una lunga recensione a Lettera a una professoressa, "un libretto vivacissimo e fresco che si legge tutto di un fiato". Citato in Riccioni (1974).
Il libro Lettera a una professoressa viene definito "essenziale, asciutto, denso e rigoroso di fatti e di cifre eppure vivissimo, traboccante di vita".
Una polemica con "alcune affermazioni che sono veramente sconcertanti" contenute nel libro di Barbiana. L’autrice , mentre si dice convinta "di una santità che già trova in Dio il suo compenso" considera quello di Milani "un atteggiamento di fanatismo".
Balducci evidenzia la divaricazione tra alcune sue concezioni e quelle del priore di Barbiana, laddove sottolinea la diversità tra "la certezza di don Milani" ed il dubbio suo sulla incapacità da parte dell’intellettuale di comprendere e di rappresentare più acutamente la realtà. Per l’autore, "davanti a lui" tutti "si sentivano prigionieri dei propri luoghi comuni".
Un necrologio del priore di Barbiana, siglato n. f. Citato in Riccioni (1974), ma con un errore nel nome dell’autore.
In questa recensione, il libro viene definito "non solamente un documento, è arte, un’opera di poesia, è un monito che [...] non dobbiamo lasciare inascoltato".
L’autore scrive che don Milani è stato "un prete scomodo perché le sue idee erano soprattutto dirette a rimuovere l’egoismo e la sordità delle coscienze […] un compagno scomodo anche per noi che ci diciamo cristiani e siamo abituati a esaltare da morti coloro che hanno messo in crisi la nostra buona coscienza". Citato in Riccioni (1974).
Due lettere in cui si afferma di apprezzare sia la Lettera a una professoressa che l’articolo "equilibrato" di Capecchi il quale lo aveva recensito nel precedente numero della rivista.
Ancora una recensione.
Per l’autore Lettera a una professoressa "alterna con ingenuità sprazzi di verità sacrosante a forzature polemiche, annotazioni di buon senso a tiritere in difesa di una ipotetica e generica civiltà contadina da salvare".
Il giornalista ricorda il suo incontro a Barbiana con don Milani, e dell’allora contraddittoria impressione che ne ricavò: da un lato, la percezione di un "acre e immisericordioso sentimento di protesta" del priore contro il mondo che lo aveva confinato in montagna; dall’altro, un senso di ammirazione per un prete capace di sciogliere il groviglio di compromessi che avvinceva la chiesa alla società. Inoltre gli sembrò indimenticabile la lezione di una scuola "come palestra comune per la comune ricerca". L’autore chiude affermando che Milani "me lo porto dietro così, come un aculeo, un dubbio grave della coscienza, sono questi dopotutto i morti che non muoiono mai". Questo scritto è pubblicato anche nella "breve antologia critica" che costituisce la seconda parte di La stampa e don Milani, a cura di Riccioni (1974).
In questo scritto, l’autore spiega i motivi dell’accoglienza inizialmente "tiepida" con la quale la stampa prese atto del libro Lettera a una professoressa. Influirono in primo luogo il modo anonimo con cui l’opera fu pubblicata da un editore piccolo e sconosciuto e in secondo luogo lo sconcerto provocato sia dall’aggressività e dalla crudezza del linguaggio che dal "radicalismo delle conclusioni". In questa cronaca, l’autore riferisce anche i commenti piuttosto ironici dei ragazzi di Barbiana alla lettura della recensione fatta da Fortini (1967) in Quaderni Piacentini al libro Lettera a una professoressa. Questo articolo è stato pubblicato anche nella "breve antologia critica" che costituisce la seconda parte di La stampa e don Milani, a cura di Riccioni (1974).
L’articolo, che inizia con un corsivo di undici righe in cui si parla della morte di Milani e dei suoi libri, tratta poi di problemi generali della scuola ed è opera di un padre gesuita. "Si può dissentire da alcune affermazioni eccessive […] ma non si può restare indifferenti davanti alle cifre riportate dai ragazzi di Barbiana". L’articolo è citato in Riccioni (1974) ed in Simeone (1996).
Resoconto di un dibattito svoltosi a Sassari su Lettera a una professoressa, con la partecipazione di G. M. Cherchi. Citato in Riccioni (1974).
Nel libro di Barbiana "la natura discriminatoria e "di classe" della scuola italiana vi emerge con una evidenza inconfutabile". L’articolo è citato in Riccioni (1974).
Esamina criticamente l’affermazione che "tutti i ragazzi sono adatti a fare la terza media", accogliendo senza riserve la tesi che la scuola dell’obbligo non può bocciare.
Secondo l’autore, il "libretto" Lettera a una professoressa ha "uno sfondo [...] abbastanza demagogico". Ed aggiunge che ha suscitato reazioni ostili "fra i professori e negli ambienti culturali". Questo articolo aprirà una polemica alla quale prenderà parte anche Giorgio Pecorini.
In questo lungo articolo, l’autore scrive che i ragazzi di Barbiana "vogliono spingere noi insegnanti fuori dalle secche del quieto vivere, dalla rassegnazione, dall’opportunismo di fronte alla realtà della scuola".
Si tratta di un editoriale con un riferimento indiretto a Lettera a una professoressa, citato in Riccioni (1974). L’autore definisce il "generoso parroco" Milani "prete irruento e portato alle descrizioni apocalittiche".
L’articolo prende lo spunto dal libro di Barbiana.
In questo intervento, che Pecorini (1996) definisce "tumultuoso" per l’aggressione polemica di cui Pasolini fu oggetto da parte di qualcuno degli allievi o ex allievi di Barbiana e San Donato, il poeta afferma che ad una prima frettolosa lettura, il libro Lettera a una professoressa lo aveva, per certe frasi, irritato. Ad un esame più attento aveva invece capito di trovarsi di fronte ad uno dei libri più belli che avesse mai letto, straordinario "anche per ragioni letterarie". Pecorini ne riferisce anche nell’articolo Don Milani non garba, pubblicato nel gennaio 1968 su Il Confronto.
Esamina i problemi relativi alla preparazione allora attuale dei maestri da parte dell’istituto magistrale, facendo riferimento alle critiche al riguardo fatte nella Lettera a una professoressa, ed affermando di condividerle.
Citato in Lunardi (1971).
La recensione del libro di Barbiana, citata in Riccioni (1974), riporta sinteticamente alcune opinioni espresse da Volpicelli, Liandri, Gozzer, Sensini.
Citato in Riccioni (1974), il quale ricorda che si tratta di un fascicolo contenente alcuni ritagli della Lettera, distribuito e stampato allo scopo di far conoscere il libro di Milani.
Citato in Cristofanelli (1975).
Un’altra recensione al libro di Barbiana. L’autore critica la concezione secondo la quale la scuola "di tutti" debba necessariamente educare al cristianesimo.
L’autore parla della morte di Milani "prete conciliare già prima del Concilio", come della "morte di un santo". "Per tutto quello che ha fatto pensiamo che sia vissuto e morto bene, pur dopo sofferenze tremende".
Altra recensione del libro di Barbiana.
Citato in Cristofanelli (1975).
Per l’autore, Milani era "tipicamente un rivoluzionario, alla ricerca di un amore fra gli uomini ancora da costituire […] è stato un padre ed un maestro, che ha scelto per la sua fecondità la realtà più difficile".
Si tratta di un articolo citato in Cristofanelli (1975).
Citato in Cristofanelli (1975).
Questo articolo, citato in Riccioni (1974), afferma, a nome di un fantomatico Comitato Nazionale Difesa Scuola Italiana, che Lettera a una professoressa è "un inqualificabile libello" che lancia "terribili anatemi con linguaggio di inaudita violenza.
Per l’autore, Milani "ha posto in crisi il concetto d’ubbidienza tradizionale, specialmente all’interno della Chiesa, riproponendo un modo nuovo di conciliare autorità e collaborazione".
Secondo l’autore, don Milani ha detto molte verità "nella sua autodifesa-requisitoria. Ha detto verità scottanti e sconcertanti". Citato in Riccioni (1974).
Recensione agli Atti del Convegno omonimo.
Una lettera al Direttore della rivista, citata in Riccioni (1974), nella quale si fa riferimento all’articolo di Carpendras, ma che non tratta assolutamente della Lettera a una professoressa.
Prosegue la polemica su Lettera a una professoressa. "Don Milani era un uomo di temperamento eccezionale" ma il libro è "un bellissimo libro da cui si possono benissimo isolare le balordaggini politiche che l’accompagnano. […] Insistendo su questi temi [i ragazzi di Barbiana] riusciranno solo a far della letteratura. Ma questa volta, della cattiva letteratura".
Viene dedicato un largo spazio ai temi di Lettera a una professoressa, "un libriccino […] che ha creato scandalo, ha creato scompiglio, ha offeso, irritato, entusiasmato".
Si tratta di un breve articolo sulla sentenza del processo di appello contro Milani (e sulla sua condanna).
La recensione è citata erroneamente in Riccioni (1974) per due volte, di cui la prima alla data del 7 settembre. L’autore dell’articolo scrive che Lettera a una professoressa è "un libro che scotta e il meno libresco che si possa immaginare". Ed aggiunge di considerarlo "un invito ad una verifica ad un aggiornamento ad un esame di coscienza".
Per l’autore, Milani è stata "una vigorosa voce profetica, un uomo di Dio, una guida e una coscienza per la nostra malferma volontà".
È una lettera al Direttore, in cui Pecorini polemizza con Carpendras (1967) riguardo a Lettera a una professoressa ed allo scontro che vi era stato tra Pasolini ed alcuni ragazzi di Barbiana al Convegno svoltosi il 17 e 18 ottobre alla Casa della Cultura di Milano.
Si tratta della replica alla risposta che il Direttore della rivista aveva dato alla lettera (pubblicata sul n° 46) con la quale Pecorini polemizzava con gli articoli di Carpendras apparsi in precedenza (n° 41 e 44).
In questa intervista rilasciata a E. Masina, il cardinale dice di Milani: "nonostante le discrepanze di giudizio credo che ciò che conta sia la tensione cristiana che lo ha animato". È citata in Riccioni (1974) e in Cristofanelli (1975).
Una recensione di Lettera a una professoressa, definita "sconcertante e bellissima".
Una lunga ed argomentata lettera sulla crisi del mestiere di "professore", in cui si afferma di condividere in pieno i suggerimenti della Lettera a una professoressa.
Citato in Riccioni (1974).
Citato in Riccioni (1974).
Articolo che si inserisce nel dibattito attorno al libro della scuola di Barbiana.
Si riferisce di come don Milani non intendesse diventare un uomo pubblico, mettersi a disposizione di tutti. Per l’autore la "lezione più profonda" che Milani gli diede fu quella che "grandezza e piccolezza sono dimensioni del tutto esteriori: il posto diventa grande in proporzione del lavoro che uno ci butta".
È il resoconto di un incontro alla Casa dello studente, citato in Riccioni (1974).
È lo stesso articolo di Vita Sociale: L’autore scrive che Milani "era un figlio obbediente della Chiesa e aveva tutte le carte in regola con Dio e con la sua coscienza [...] fu un amico che non si dimenticherà mai".
Citato in Riccioni (1974).
Sono diversi brani della Lettera a una professoressa. Citato in Riccioni (1974).
L’autore scrive che Lettera a una professoressa "non a caso pare sia, insieme con Marcuse, il maggior successo editoriale dell’anno fra i saggi non divulgativi".
Recensione al libro della scuola di Barbiana. Per l’autore, il libro ha "un valore di provocazione che va al di là della stessa testimonianza". Riporta in nota anche una piccola bibliografia di altre recensioni pubblicate.
Articolo citato nello schedario del Centro di Documentazione "Don Milani" di Vicchio.
Citato in Riccioni (1974).
Recensione citata in Riccioni (1974).
Si mette in luce quello che è stato il carisma di don Milani nel contesto della Chiesa e della società del suo tempo, che "lo sta facendo entrare rapidamente nella storia spirituale del post-Concilio". L’autore, augurandosi che venga il tempo in cui la Chiesa non si limiterà a rendere onore ai carismi dopo la loro scomparsa, riconosce a don Milani una intensa umanità, e di aver sempre conservato una personalità "robustamente laica" pur "accogliendo senza riserve i valori costitutivi della vocazione cristiana e sacerdotale". Don Milani, spogliatosi di ogni egoismo, ha saputo far nascere "nella coscienza di tutti noi", continua Balducci, il sentimento della vergogna. Questo scritto verrà ripubblicato successivamente in L’insegnamento di don Lorenzo Milani, una antologia di scritti di padre Balducci raccolti a cura di Mario Gennari (1995).
Per l’autore, noto matematico e docente all’Università di Pisa, Lettera a una professoressa è stata una denuncia circostanziata e documentata, "una frustata che ha colpito noi tutti, insegnanti dalle elementari all’università". Checcucci prosegue poi con una notazione sulla matematica moderna che dà molta importanza al possesso del "linguaggio e al vocabolario". Citato in Riccioni (1974) con il titolo, errato, Don Milani e la matematica.
Gli autori narrano del loro incontro con don Lorenzo a Barbiana, nell’agosto del ’65, e della critica del priore all’uso del termine francese Esprit per denominare il gruppo di cui essi facevano parte.
Il regista ricorda come a lui don Milani concedesse l’unica intervista filmata, dopo averla rifiutata alle TV tedesca e svizzera ed ai colleghi italiani. Racconta episodi della sua visita a Barbiana; del modo come il priore si occupasse con molto affetto e disponibilità di un bambino gravemente minorato; di come egli stesso "superò l’esame" a cui lo sottoposero Milani ed i suoi allievi. Il titolo di questo articolo-testimonianza è dato da un vecchio film pacifista di Pabst, sul quale il regista tenne una "lezione" di cinema, ricevendone a sua volta una dagli allievi della scuola di Barbiana.
Si spiega che il fascicolo monografico non è un tentativo di annessione di un patrimonio spirituale "che non ci appartiene". Riconoscendo a Milani la grandezza spirituale delle sue proposte, se ne evidenzia peraltro il limite obiettivo che rende "politicamente impraticabile" il modello della sua scuola. Articolo siglato d. z.
L’autrice scrive che con Milani "è morto un grande maestro". Citato in Riccioni (1974).
Per l’autore, Milani ha dimostrato "come si fa a rompere, da parroco, in un ambiente rurale" il tradizionalismo e l’immobilismo. Lo strumento che ha usato -e che "in ambienti politici" è stato definito come classista- è stato l’agire "sulla cosa più semplice posseduta da ogni povero: il linguaggio". Commentando una frase di Milani, l’autore afferma che il maestro "deve essere monarca nella misura in cui, trasmettendo tutta la propria carica umana e professionale nell’allievo, riesce a comunicargli un suo stesso metodo critico, sinonimo di libertà, antitesi di obbedienza". L’autore ricorda anche come, assieme a Milani, condusse una lotta per istituire a Vicchio un doposcuola comunale gratuito, annesso alla scuola media e "riservato ai figli dei poveri".
L’autore racconta l’incontro da lui avuto con don Milani verso la fine dell’autunno 1965. Riferisce la sua impressione di "un carattere non solo forte, ma anche orgoglioso, estremamente convinto della verità che portava dentro di sé, quasi non avesse più bisogno di confrontarla con quelle degli altri". E afferma di aver trovato in Milani "sempre una coscienza robusta e drammatica dell’oppressione di classe, che spezza in due la società in cui viviamo". Ingrao dichiara di intendere e ammirare le scelte di quel prete, nonostante siano fondate su una gerarchia di valori diversi dalla propria.
Si afferma che per Milani "la vita dei poveri fu il modello e il termometro della sua autenticità". Il priore "ha ricercato gli strumenti della loro battaglia", ha creduto nella loro "sovrana dignità". In questo modo egli ha scoperto e costruito se stesso.
Per l’autore Lettera a una professoressa è una denuncia della selezione classista connaturata al sistema scolastico italiano; è una testimonianza della possibilità di creare un nuovo sistema scolastico che rovesci la situazione presente, della possibilità di mettere su una scuola nuova, nella quale "gli ultimi di oggi siano i primi, una scuola fatta per Gianni".
Racconta l’incontro con Milani, assai polemico con i "focolarini" ai quali apparteneva l’autore; dal quale era andato per realizzare un servizio televisivo per ZOOM. Il servizio fu poi ‘bocciato’, e la sua proiezione avvenne "con una settimana di ritardo e qualche metro in meno", dopo la morte del priore.
Gli autori affermano che "il classismo di don Milani" consiste in "una scelta che ha motivazioni assai più di ordine etico-religioso che non strategico-politico. La scelta di classe di don Milani è la scelta dei poveri ‘prediletti da Dio’ [...] e non la scelta della ‘classe’ sociale". Citato in Riccioni (1974), ma con una inesattezza nel nome degli autori.
Viene qui citata una lettera di Milani allo stesso Meucci, del 26 gennaio ’52, nella quale il priore commenta negativamente la pubblicazione di un libro di Simone Weil, L’ombra e la grazia, che giudica "dato alle stampe e esposto nelle vetrine cattoliche per evidente istigazione diabolica". Meucci definisce don Milani "l’unico vero intellettuale che abbia mai conosciuto, e che fu capace di spogliarsi di tutte le scorie della sovrastruttura intellettualistica per aprirsi umilmente alla ricerca, insieme agli umili" di concetti umani e cristiani. L’articolo si chiude con una citazione di Milani, il quale sostiene che "il mio libro [Esperienze pastorali. N.d.R.] non è affatto un atto di amore, ma di pensiero. L’amore [...] io l’esplico altrove".
Questo sacerdote scrive che della "lezione" di Milani lo "ha sempre colpito il senso di libertà dal formalismo giuridico".
L’autore riconosce in Milani la particolare vocazione di "dare la Verità ai suoi ragazzi perché crescessero uomini liberi". Articolo citato in Riccioni (1974), ma con un errore nel nome dell’autore.
Per l’autore, il libro in oggetto si inserisce legittimamente nel novero delle poche opere valide di sociologia religiosa apparse nel corso degli anni Cinquanta. Mentre alcune componenti della personalità di Milani ne fanno un prete autenticamente moderno, altre rivelano come non nutrisse alcuna fiducia nei confronti degli "strumenti moderni della riscossa delle classi subalterne": il partito e la politica. Il titolo dell’articolo è citato in modo incompleto in Riccioni (1974, pag. 79).
L’autrice descrive il suo ultimo incontro con don Milani, in cui gli parlò delle reazioni che il libro Lettera a una professoressa aveva suscitato nella propria scuola e del proprio disaccordo a proposito del celibato degli insegnanti. L’autrice afferma che "qualcosa lo possedeva, qualcosa di cui si sentiva intorno [...] la paurosa presenza".
Si narra l’incontro con Milani, quando, ormai sofferente e costretto a letto, curava i dettagli della Lettera a una professoressa.
L’autore afferma che la cosa che più lo aveva impressionato in Milani era la violenza con cui egli affrontava i problemi, la forza del linguaggio, il giudizio preciso e tagliente delle argomentazioni.
Tre lettere al Direttore.
Per l’autore di questo editoriale, "il carattere di classe che di fatto ha ancora la scuola obbligatoria comune di otto anni […] è stato denunciato con passione morale e rigore scientifico da don Lorenzo Milani e dai suoi scolari di Barbiana: la Lettera a una professoressa è stata una dichiarazione di guerra, e mostra di contenere una vera e propria carica rivoluzionaria, capace di rimettere in movimento la situazione".
Una recensione del libro di Barbiana.
L’articolo fa riferimento a Lettera a una professoressa.
-¥-
L’autore del servizio televisivo realizzò questo lavoro poco prima della morte di Milani, il quale si era rifiutato di essere ripreso perché, trattandosi di un filmato sulla Lettera a una professoressa, egli insisteva essere opera dei ragazzi, e non sua. Quando il servizio fu pronto, esso apparve così "esplosivo" che venne rifiutato, salvo poi essere messo in onda con una settimana di ritardo e con qualche taglio. L’episodio è riferito in De Vanna (1992).