1968
Citato in Lunardi (1971).
Citato in Riccioni (1974).
Citato in Riccioni (1974).
Articolo citato nello schedario del Centro di Documentazione "Don Milani" di Vicchio.
Si tratta della trascrizione parziale di una tavola rotonda promossa come prima iniziativa del centro "Il maestro oggi" e svoltasi a Perugia, durante la quale gli aspetti più attuali della scuola vengono esaminati alla luce delle esperienze educative di don Lorenzo Milani. Al dibattito, diretto da Aldo Capitini, prendono parte Giacomo Cives, Aldo Fabi, Augusto Scocchera, Giacomo Santucci e Virgilio Zangrilli. Capitini concluderà il dibattito affermando che "Milani è stato un grande educatore, un educatore in grande".
Si tratta della lettera (che ripete il titolo del precedente articolo di Cherchi) inviata a nome di un gruppo di insegnanti raccolti intorno al Centro ‘ICHNUSA’ di Sassari, i quali, riprendendo il tema di Lettera a una professoressa, affermano che il libro è destinato a "sollevare scandalo, a fare molto rumore", ma che esso deve essere discusso per le proposte che contiene. Ricordando i dati sulle bocciature nella scuola dell’obbligo, chi scrive ritiene che la Lettera a una professoressa richiami gli insegnanti "non solo alla consapevolezza di ciò che è la scuola italiana, nelle sue strutture antidemocratiche, nei suoi metodi e nei suoi programmi", ma anche all’impegno "per mutare tutto ciò che va mutato nella scuola".
Una recensione del libro di Barbiana, nella quale Ciari, partendo dal libro e dalla fisionomia di una scuola spesso decrepita, delinea le prospettive di una scuola completa e di tutti. Il libro viene definito più efficace nella denuncia che nella proposta di soluzioni, in quanto "discutibile" per l’aspetto delle proposte costruttive.
Citato in Riccioni (1974).
È il resoconto del dibattito avvenuto alla Casa della Cultura di Milano.
L’autore, direttore didattico di Vicchio nel periodo in cui Milani era priore di Barbiana, ricorda come per don Lorenzo si trattava -assicurando più scuole per i poveri- di contribuire ad eliminare differenze di classe che gli apparivano insultanti. Riferisce inoltre di come don Milani si sentisse isolato dal silenzio dei suoi confratelli sulla propria vicenda processuale, relativa alla lettera di risposta ai cappellani militari.
Citato in Riccioni (1974) e in Simeone (1996).
L’articolo è citato in Cristofanelli (1975) ed in Simeone (1996).
Citato in Riccioni (1974) e Simeone (1996).
Citato in Cristofanelli (1975) ed anche in Scocchera (1994). Contiene tra l’altro una critica a don Milani.
Citato in Riccioni (1974) ed in Cristofanelli (1975).
Citato in Riccioni (1974).
L’autore, citando A. Pronzato, scrive che "c’è qualcosa di peggio che lapidare i profeti, ed è il commemorarli dopo la morte".
Secondo l’autore, essi "guardano a Papa Giovanni, a don Milani, a Che Guevara, alle comunità cristiane primitive". Citato in Riccioni (1974).
Citato in Riccioni (1974).
L’autrice afferma di ritenere arbitraria l’analogia, contenuta nel passo su Stokely Carmichael in Lettera a una professoressa, tra il problema dei neri d’America e quello delle differenze sociali e culturali che la scuola italiana accetta come base della selezione. Per la Balbi la conclusione, paradossale, era che la battaglia dei ragazzi di Barbiana mirava a imporre i valori della povertà e dell’ignoranza quali "moralmente, politicamente e intellettualmente superiori alla non-povertà e alla non-ignoranza".
L’autore sostiene che don Milani ha sbagliato bersaglio, se ha inteso attaccare la scuola media e non soltanto la società che la esprime: ma, pur dichiarandosi in disaccordo con don Lorenzo, afferma di apprezzarne la figura. Consiglia comunque di leggere il libro, perché ne accetta "buona parte dei suggerimenti di carattere didattico". Non è invece convinto che esso possa avere un’influenza positiva sui giovani.
L’autore scrive di Milani che "le sue volontà sono utopie ma le utopie servono". Giorgio Pecorini scrisse poi una lettera al direttore del giornale, per polemizzare con questo articolo. La lettera fu pubblicata con il titolo Don Milani, come ricorda Riccioni (1974).
Si tratta di Un muro di foglio e incenso di don Milani. Citato in Riccioni (1974).
Una lettera inviata il 1° maggio al Direttore del giornale, in polemica con l’articolo di C. Pellizzi pubblicato il 27 aprile. Citato in Riccioni (1974).
Citato in Riccioni (1974).
Citato in Lunardi (1971).
Citato in Riccioni (1974).
Secondo l’autore, che scrive ricordando che il 6 maggio Lettera a una professoressa ha ricevuto nell’Aula Magna di Magistero a Firenze il premio della Società dei fisici italiani, in Milani l’attività critica "non si manifesta mai come ribellione romantica, ma sotto l’imperativo morale di un dovere attivo quasi aggressivo". La "lettera" del titolo è una del priore a Nicola Pistelli, pubblicata da poco tempo su un settimanale. Questo articolo è stato pubblicato anche nella "breve antologia critica" che costituisce la seconda parte di La stampa e don Milani, a cura di Riccioni (1974).
Descrizione molto positiva del funzionamento della scuola a San Donato e a Barbiana, con numerose testimonianze citate. In don Milani vede l’incarnazione di un contrasto di fondo tra un atteggiamento comunitario e libertario ed uno autoritario e profetico.
L’autore scrive che Danilo Zolo "riconosce nel radicale amore di don Milani per i poveri una scelta tipicamente profetica". L’articolo è citato in Riccioni (1974), ma con un errore nel titolo.
Articolo citato in Cristofanelli (1975).
Si tratta dell’articolo già comparso su L’Avvenire d’Italia, ed è citato in Riccioni (1974).
Citato in Riccioni (1974).
Citato in Riccioni (1974).
"La sua rivoluzione e la sua guerra sono totali, senza soste e senza compromessi". Citato in Riccioni (1974).
"Don Milani, con il suo vigore e la sua lucidità, ha richiamato la Chiesa oggi, a considerare la pastorale per quel che è: servizio al gregge di Dio". Citato in Riccioni (1974).
L’articolo, che inizia scrivendo "il libro Lettera a una professoressa è intollerante, chiuso, ha aspetti utopistici addirittura assurdi, ti fa arrabbiare, ma poi in fondo sconvolge, perché porta dentro una grande verità". È citato in Simeone (1996).
Una recensione del libro di Barbiana. "La denuncia, dal tono melodrammatico […] è sincera e ricca di spunti".
Citato in Riccioni (1974).
Nel contesto di una inchiesta sui giovani, viene qui pubblicata una lettera –incompleta- con cui Milani ed i suoi allievi avevano iniziato a rispondere alla domanda se anche in famiglia valessero le indicazioni delle due lettere ai cappellani ed ai giudici. L’articolo è citato in Riccioni (1974).
L’autore si riferisce allo spettacolo teatrale su Lettera a una professoressa messo in scena da Franco Enriquez e la Compagnia dei Quattro.
Si riferisce allo spettacolo teatrale messo in opera dalla Compagnia dei Quattro, sul tema di Lettera a una professoressa.
Ancora sullo spettacolo di Enriquez e della Compagnia dei Quattro sul tema di Lettera a una professoressa.
Ancora un articolo che tratta dello spettacolo teatrale messo in opera dalla Compagnia dei Quattro, sul tema di Lettera a una professoressa.
Ancora lo spettacolo di Enriquez e della Compagnia dei Quattro sul tema di Lettera a una professoressa.
Ancora lo spettacolo di Enriquez e della Compagnia dei Quattro sul tema di Lettera a una professoressa.
Per l’autore, a Barbiana "i muri trasmettono idee, quelle che venivano colte da ogni parte del mondo purché fossero buone, purché servissero a formare un uomo".
È il primo di una serie di articoli che il quotidiano dedicherà alla scuola, terminando il 27 ottobre. Citato in Riccioni (1974).
Citato in Riccioni (1974).
Citato in Riccioni (1974).
Citato in Riccioni (1974).
Citato in Riccioni (1974).
Citato in Riccioni (1974).
Citato in Riccioni (1974).
Citato in Riccioni (1974).
Citato in Riccioni (1974).
L’articolo viene citato da Cristofanelli (1975).
Una lettera al direttore. Citata in Riccioni (1974).
Una recensione del libro della Ricciardi Ruocco.
Citato in Riccioni (1974).
Citato in Riccioni (1974).
Citato in Riccioni (1974).
Si riferisce allo spettacolo di F. Enriquez e della Compagnia dei Quattro sul tema di Lettera a una professoressa.
Un altro articolo a proposito dello spettacolo teatrale di Enriquez. Citato in Riccioni (1974).
Recensisce il libro della Ricciardi Ruocco, definendolo "un libro freschissimo", apprezzando in esso il fatto che all’"aspro pessimismo" del libro di Milani l’autrice contrapponga una visione con qualche squarcio di ottimismo.
Una recensione del libro di Barbiana. "Questa lettera raggiunge come un pugno allo stomaco".
Una recensione del libro della Ricciardi Ruocco.
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Contiene il testo di Un muro di foglio e incenso, già pubblicato il 19 maggio da L’Espresso, ed in appendice riporta l’articolo Il caso don Milani di monsignor Baldassarri (1967).
Un piccolo libro di 66 pagine. Citato con qualche inesattezza in Riccioni (1974) e Calicchia (1990). Per l’autrice il problema della selezione scolastica "non può essere affrontato con l’odio nel cuore e la sfiducia negli uomini. [...] Letta la lettera non resta quindi che rimboccare le maniche e lavorare di più ed educare di più". L’opera è disponibile nell’archivio del Centro di Documentazione "Don Milani" di Vicchio.
Un libello contro Lettera a una professoressa, totalmente ignorato, a detta della stessa Calderini (1992), dalla grande stampa, ma che sarà lodato da Cotturone (1992).
L’autore nota che il giusnaturalismo e profetismo di don Milani, che si definiscono come antistoricismo assoluto, sono anche antinaturalismo assoluto, perché i principi psicologici delle attitudini e delle genialità vengono rifiutati, in quanto provenienti da un non superato razzismo. L’opera è disponibile nell’archivio del Centro di Documentazione "Don Milani" di Vicchio.
Si tratta di due note sulla lezione di don Milani, I muti, i ciechi e i sordi, che tratta del dibattito svoltosi alla Casa della Cultura di Milano, con la polemica tra un gruppo di allievi di Barbiana e Pasolini, e Il fascismo si coltiva in vaso. L’opera è disponibile nell’archivio del Centro di Documentazione "Don Milani" di Vicchio.
L’autrice del libro contrappone una visione con qualche squarcio di ottimismo al pessimismo di fondo che invece sembra permeare il libro di Milani. L’opera è disponibile nell’archivio del Centro di Documentazione "Don Milani" di Vicchio.
Una tesi sul libro di Barbiana.
Si tratta di una delle tre opere teatrali ricavate dagli scritti di don Milani. L’adattamento dal libro è opera di Franco Enriquez. Ne dà notizia Riccioni (1974, pag. 132) , il quale annota che si trattava di "soggetti scabrosi, che [...] non mancarono di suscitare grandi polemiche".
1969
Nell’articolo si scrive che Lettera a una professoressa è "un pamphlet fondamentale per la storia del nostro costume".
Un trafiletto con la notizia, citato in Riccioni (1974).
Nell’articolo si riferisce di "una importante lettera inedita" di Milani (quella del 30 marzo 1965 in cui scrive a Marco Sassano in riferimento alla lettera ricevuta –per il tramite di don Bensi– da Paolo VI, con accluso un assegno di 100.000 lire), scrivendo che essa "pare di particolarissimo interesse". La lettera autografa è qui riprodotta in fotocopia, ma, stranamente, è stato cancellato il nome del destinatario.
Si riferisce alle polemiche provocate dallo spettacolo di Enriquez e della Compagnia dei Quattro sul tema di Lettera a una professoressa.
L’articolo dà notizia che tali "professor A. Ughi" e "ragionier E. Daddi" hanno presentato alla Procura della Repubblica una denuncia in merito allo spettacolo allestito da Enriquez e dalla Compagnia dei Quattro sul tema di Lettera a una professoressa.
Citato in Riccioni (1974).
Fa riferimento alla riduzione teatrale del libro di Milani.
È quello "poco teatrale ma fedele ai testi" tracciato dallo spettacolo allestito da Mina Mezzadri.
Alcune precisazioni sul passaggio di Milani da San Donato a Barbiana. Citato in Riccioni (1974).
Un’ampia recensione del libro di Barbiana. "Dal punto di vista strettamente didattico il lavoro presenta un interesse piuttosto scarso […] non mancano osservazioni acute e realistiche […] è uno scossone, forse un po’ troppo violento, forse un po’ troppo cattivo, ma non del tutto inutile alla nostra coscienza".
Si tratta di un articolo sullo spettacolo curato dalla Mezzadri, definito "spettacolo-documento". È citato in Riccioni, ma con un errore nell’individuazione dell’autore.
Viene qui pubblicato un inedito di don Milani. L’articolo è citato in Riccioni (1974).
Citato in Lunardi (1971).
Si riferisce alla riduzione teatrale del libro di Milani. Lo stesso articolo è stato pubblicato nel n° 4 di Humanitas, a pag. 492.
Nell’articolo si scrive che Milani i suoi allievi "li istruiva, crescendoli ad un tipo di insegnamento che era il contrario esatto di quello che si impartiva nelle scuole pubbliche". Viene riportata una polemica dichiarazione di un ex allievo di Barbiana il quale sostiene che Lettera a una professoressa "è nato da un lavoro compiuto quasi interamente da don Milani. […] Certo qualcuno ha dato un aiuto. Ma le idee, i commenti, la polemica sono di una mano sola". Riccioni (1974) cita l’articolo, ma con un errore nel nome dell’autore.
Recensione a Don Lorenzo Milani e la ristrutturazione della scuola di base, di R. Mazzetti: Cammarota afferma che l’autore "integra, esponendolo, il pensiero di don Milani e il suo atteggiamento critico non è un rifiuto, bensì un tentativo positivo di adeguamento ai tempi".
Si tratta di una recensione dello spettacolo su don Milani firmato dalla Mezzadri. L’articolo è citato da Cristofanelli (1975).
Citato in Riccioni (1974).
Citato in Riccioni (1974).
Si tratta di una lettera di Milani in risposta al Vicario Generale don Giovanni Bianchi, il quale gli ricordava due impegni da lui presi e non mantenuti, tra cui quello a non recarsi nelle parrocchie "senza il consenso preventivo del Parroco interessato". È citato in Riccioni (1974).
Un lungo articolo in due parti, in cui vengono ripresi i temi di Lettera a una professoressa. Per inciso, l’autore –che si ripropone di presentare "uno schema sul metodo, gli scopi, la testimonianza didattica" del priore– sottolinea che "don Milani disapprovava anche i preti-operai".
Scrive l’autore che "anche attraverso quel libriccino [Lettera a una professoressa. N.d.R.] si è cominciato a capire".
Si tratta della seconda parte di un servizio iniziato con l’articolo precedente. Citato in Riccioni (1974).
Viene pubblicata qui una lettera dell’onorevole Dossetti, in riferimento alla denuncia, avvenuta a Reggio Emilia, di 28 consiglieri comunali per un ordine del giorno di solidarietà con il parroco di Barbiana, approvato nel 1965.
L’articolo parla della denuncia di 28 consiglieri del comune di Reggio Emilia, i quali nel 1965 avevano approvato un ordine del giorno in appoggio a don Milani.
Si annuncia qui il processo a 28 consiglieri comunali di Reggio Emilia per un ordine del giorno di solidarietà con il parroco di Barbiana, approvato nel 1965.
Si riferisce ancora al processo ai 28 consiglieri comunali di Reggio Emilia per l’ordine del giorno di solidarietà con Milani, approvato nel 1965.
Citato in Riccioni (1974).
Si tratta di una recensione al libro di Mazzetti (1968). L’autore scrive che Mazzetti conduce un’analisi "nella scia del pensiero e dell’opera di don Milani".
È un articolo introduttivo, al quale fa seguito poi il testo completo dell’opera.
Cita la Lettera a una professoressa, a proposito della valorizzazione della vera cultura popolare, nel contesto di un dibattito sui centri di orientamento.
Con una presentazione (forse di Baldassarri) in cui si vuole confutare "l’accusa tanto sprovveduta di d. Milani classista", viene ripubblicata una lettera del priore del 20 maggio 1959, già edita sul n° 972 di Epoca.
Si tratta di una recensione al libro di Mazzetti (1968). Secondo Bini, Mazzetti ravvisa in Milani "uno spirito manicheo derivato da mancanza del senso della storia, […] una durezza autoritaria insieme con lo slancio egalitario".
Nell’articolo si riporta che "i giovani della Loggetta (in prevalenza cattolici del dissenso) sono stati invitati a riallestire il loro spettacolo su don Milani". Citato in Riccioni (1974).
L’articolo tratta dell’obiezione di coscienza. Nello stesso numero del periodico vi sono un altro articolo, anonimo, sull’obiezione ed uno spazio dedicato allo spettacolo della Compagnia la Loggetta su don Milani. Citato in Riccioni (1974).
Si tratta di un dépliant distribuito in occasione della presentazione del testo teatrale della Mezzadri a Livorno. Vi si scrive che "il discorso su don Milani viene ora presentato come ‘proposta’, vale a dire come punto di partenza per andare più a fondo nelle cose".
Viene presentato lo spettacolo che la Compagnia della Loggetta di Brescia terrà al Teatro "I 4 Mori" di Livorno.
Si tratta dello spettacolo della Mezzadri.
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Viene qui ripubblicato alle pagine 43-58 l’articolo Per loro non c’era posto, scritto per Adesso da don Milani, e apparso il 12 dicembre 1950. L’opera è disponibile nell’archivio del Centro di Documentazione "Don Milani" di Vicchio.
Un libro di poesie per il priore. La poesia che dà il titolo al libro è stata ripubblicata nel volume curato da G. Catti (1988), a pag. 160. L’opera è disponibile nell’archivio del Centro di Documentazione "Don Milani" di Vicchio.
Si tratta del testo di una delle tre opere teatrali ricavate dagli scritti di don Milani. L’adattamento è opera della Mezzadri, sul tema L’obbedienza non è più una virtù. Ne dà notizia Riccioni (1974, pag. 87, pag. 90 e pag. 132) , il quale annota che si trattava di "soggetti scabrosi, che [...] non mancarono di suscitare grandi polemiche". Il testo sarà poi pubblicato il 1° ottobre sul n° 18 di Rocca.
1970
Per l’autore, negli ultimi scritti di Milani "la denuncia delle carenze della scuola dell’obbligo [...] trasuda ad ogni passo [...] disprezzo per quella tradizione, per quella cultura, per quella storia in cui consiste la nostra civiltà". Con l’autore polemizzerà il 29 maggio T. De Mauro (1970b), nella sua recensione all’epistolario curato da Gesualdi.
Si dà notizia che è stato inviato a Ravenna un ‘visitatore apostolico’ per "esaminare l’operato di Monsignor Baldassarri", il quale in più occasioni aveva scritto favorevolmente riguardo a don Milani. L’articolo è citato da Riccioni (1974).
Cita la Lettera a una professoressa per contestare la necessità della selezione scolastica basata sulle bocciature.
Si riferisce al lavoro teatrale di Giovampietro (1969). Citato in Riccioni (1974).
Il lavoro teatrale di Giovampietro è al centro di polemiche ed è stato vietato ai minori di 18 anni. Articolo siglato g. c.
Un altro articolo sul lavoro teatrale di Giovampietro, al centro di polemiche e divieti.
Citato in Riccioni (1974).
Citato in Riccioni (1974), ma con un refùso nel titolo.
Per protesta contro il divieto per i minori di 18 anni di assistere allo spettacolo teatrale di Giovampietro (1969). Citato in Riccioni (1974).
Ancora sul lavoro teatrale di Giovampietro. L’articolo, siglato p. per., è citato in Riccioni (1974).
Sul lavoro teatrale di Giovampietro, al centro di polemiche e divieti, interviene un viceministro della repubblica.
L’autore scrive che nel provvedimento di censura vi sono "il rifiuto del non conformismo, la volontà primitiva contro le idee nuove [...] la volontà di tenere lontane dalla gioventù tutte le opinioni che non quadrino con l’ossequio all’ordine presente".
Un necrologio di don Milani. Riprende il titolo già pubblicato su Comunità.
Un altro articolo, siglato n. f., sulla vicenda. Citato in Riccioni (1974), ma con il titolo impreciso.
Un altro articolo sul lavoro teatrale di Giovampietro, la cui vicenda è arrivata fino al Parlamento.
In questo articolo, siglato R. M., si riporta la motivazione addotta per il divieto ai minori del ‘Don Milani’ di Giovampietro.
Dopo la seconda recita, viene sciolta la compagnia teatrale, essendo stato negato dal ministero il nulla osta. Citato in Riccioni (1974).
L’autore definisce "farsesca, se non fosse grave e triste" la vicenda dello spettacolo di Giovampietro sottoposto a divieti e censure. Citato in Riccioni (1974), che lo attribuisce ad autore anonimo.
L’autore scrive che l’episodio "raggiunge le più alte vette del ridicolo". Citato in Riccioni (1974).
Articolo sullo spettacolo teatrale su don Milani: citato in Riccioni (1974).
L’autore ha esaminato le antologie proposte nelle scuole, tra le quali quelle a cura di De Mauro, Balestrieri, ed altri.
"Le frange estremiste della contestazione di matrice marxista cercano oggi […] di annettersi la figura di don Milani". Citato in Riccioni (1974).
"Barbiana è ormai un paese fantasma. […] La scuola divenuta un simbolo è chiusa, non esiste più". Citato in Riccioni (1974).
Si dà notizia dell’archiviazione della denuncia contro il lavoro teatrale che la Mezzadri aveva ricavato dagli scritti di Milani.
In questa lunga recensione, l’autore parla delle lettere di Milani come di "documenti di una vita di lotte dure e di riflessione rigorosa" e ritiene che "scuoteranno profondamente tutti i lettori". De Mauro aggiunge che il libro scuoterà certamente anche coloro che pure risponderanno ad esso col silenzio o con le ingiurie. L’autore scrive inoltre che Milani "si è impegnato a fondo in una battaglia per l’autenticità della cultura dei subalterni". Vi è poi una polemica con un articolo pubblicato all’inizio dell’anno da N. Matteucci su Il Mulino, in cui si "confonde don Milani tra i populisti". Questa recensione, che verrà pubblicata il giorno successivo anche su Paese Sera, è stata inclusa nella "breve antologia critica" che costituisce la seconda parte di La stampa e don Milani, a cura di Riccioni (1974).
Si tratta di un articolo di recensione pubblicato poi anche su La Nazione, in cui si scrive che "l’epistolario è illuminante, fa scoprire che il parroco di Barbiana, il ribelle, è obbediente, simile ad un frate in coro".
L’autore della recensione scrive che dal libro "emerge la figura di un sacerdote difficile, ostico ad ogni etichetta, pungente come un cactus [...] che fu strumentalizzato da ogni parte perché era la cattiva coscienza della Chiesa". Si tratta dello stesso lungo articolo pubblicato in contemporanea sull’altro quotidiano della proprietà, Il Resto del Carlino.
È la recensione già apparsa il 28 maggio su L’Ora di Palermo. Nel 1977 verrà ripubblicata in Le parole e i fatti.
Viene qui pubblicata una lettera ancora inedita del priore, tratta dal libro curato da Gesualdi, ormai prossimo all’uscita. Si tratta di quella spedita a Florit il 5 marzo 1964. Viene pubblicata anche una lettera dell’arcivescovo a Milani, scritta in data 1° gennaio del ’66, in cui si parla di una sottoscrizione del PCI per il processo al priore, al quale "sino ad oggi, sarebbero stati anticipati […] circa tre milioni di lire". Don Milani risponderà il 5 gennaio a Florit, con una lettera (recentemente ripubblicata nel volume di Zambianchi (1997), a pag. 47-48), in cui definiva la notizia "inventata di sana pianta da un’agenzia fascista […] raccolta solo dai giornali fascisti e clerico fascisti".
L’autore recensisce l’epistolario curato da Michele Gesualdi (1970). Egli scrive che le "denunce di don Lorenzo [...] non consentono scrollate di spalle [...] costringono a riflettere sulla coerenza del nostro impegno quotidiano". Vengono anche pubblicate integralmente alcune lettere del priore, tra cui quelle a don E. Palombo del 25 marzo e del 29 aprile del ’55 e quella a G. P. Meucci del 2 marzo dello stesso anno.
Questo articolo è citato in Cristofanelli (1975).
Si ricorda il soggetto di un film su Gesù che il priore voleva inviare al regista francese Cloche.
L’autore scrive che Milani e Giovanni XXIII ricordano "quale può essere la forza dell’amore cristiano, la sua potenza rivoluzionaria". A questo articolo se ne affianca un altro, a firma di F. Mengoli, dallo stesso titolo.
Articolo citato nello schedario del Centro di Documentazione "Don Milani" di Vicchio.
L’autore scrive che Milani e Giovanni XXIII ricordano "quale può essere la forza dell’amore cristiano, la sua potenza rivoluzionaria". A questo articolo se ne affianca un altro, a firma di F. Mengoli, dallo stesso titolo.
Una recensione dell’epistolario curato da Michele Gesualdi (1970).
L’articolo si conclude riportando le parole di "un vecchio amico prete", il quale afferma che Milani era "un uomo meraviglioso, di una ricchezza umana e cristiana sconvolgente. Faceva anche molte stupidaggini. Ma se mi dicessero che fra dieci anni lo faranno santo, ci crederei".
In questa recensione all’epistolario curato da Gesualdi, l’autore, sacerdote vicino alla Segreteria di Stato vaticana, scrive che Milani fu "un prete scomodo [...] amò la Chiesa a modo suo, ma l’amò con sincerità, col piglio severo del profeta".
L’articolo è una recensione dell’epistolario curato da Gesualdi (1970). Secondo l’autore, la scuola di Barbiana "era una scuola assurda, non riproducibile, non esportabile [...]. In realtà la scuola di Barbiana non era una scuola. Era un giudizio sul mondo" così come era stato costruito da quelli che avevano detenuto il potere fino a quel momento. Questo articolo è stato pubblicato anche nella "breve antologia critica" che costituisce la seconda parte di La stampa e don Milani, a cura di Riccioni (1974).
L’autore dice che Milani "è stato un profeta che ha anticipato i tempi".
Una recensione citata in Lunardi (1971), ma con un errore nel titolo. Questo articolo apre una polemica. Infatti D. Gregorelli scriverà una lettera che il 26 luglio verrà pubblicata, a detta dell’autore, con dei tagli su parti "essenziali", e precisamente quelle che riguardavano i giudizi di Antonelli sul vescovo Florit. In una lettera successiva protesterà appunto per i tagli e riceverà una risposta dal Direttore della rivista, C. Chiavazza.
È uscito l’epistolario curato da M. Gesualdi.
Una lunghissima recensione dell’epistolario curato da Michele Gesualdi (1970). Viene anche pubblicata una lettera di Milani del 2 gennaio ’67 a G. Arfè, con una breve presentazione del destinatario: la lettera chiede se è reperibile del materiale che possa servire ad argomentare ancora meglio Lettera a una professoressa.
È una polemica con M. Gesualdi, che, a detta dell’autore, "postillando una lettera del prete contestatore di Barbiana di Mugello" ha offeso "grossolanamente la reputazione" de Lo Specchio. Viene ricordato l’episodio dell’intervista, mai rilasciata da Milani, che Lo Specchio pubblicò il 21 marzo 1965.
È una lettera al giornale, in cui si prega di "segnalare ai lettori" l’epistolario curato da Gesualdi, in cui si scopre "perfino un don Milani umorista". Citato in Riccioni (1974), che lo attribuisce ad autore anonimo, con un’inesattezza nel titolo.
Recensendo l’epistolario curato da Michele Gesualdi (1970), Fabbretti scrive che Milani "riuscì a stimolare e a condizionare in modo determinante la gerarchia ecclesiastica italiana e l’opinione pubblica di tutto il mondo".
Una recensione all’epistolario curato da Gesualdi. Per l’autore Milani è una conferma di una tesi togliattiana approvata al X congresso del PCI: "l’aspirazione al socialismo può trovare stimolo in una sofferta coscienza religiosa".
Citato in Riccioni (1974).
Una recensione dell’epistolario curato da Gesualdi.
Si tratta del resoconto di una conferenza che si era tenuta a Milano, presso la ‘Corsia dei servi’. Era presente Gian Paolo Meucci. L’autore si chiede "quali furono i limiti reali del prete di Barbiana?", e sostiene che dal dibattito è uscita un’immagine "edulcorata" di don Milani.
Una recensione dell’epistolario curato da Michele Gesualdi (1970). L’autore scrive che per Milani "la verità, l’abnegazione, il sacrificio [...] altro non sono che strumenti usati con consapevole eroismo a dare forza, credito, umanità al sacerdote". Citato erroneamente per due volte in Riccioni (1974).
Per l’autore, che scrive successivamente alla pubblicazione dell’epistolario curato da Michele Gesualdi (ed al quale fa esplicito riferimento), occorre "liberare i discorsi sul priore di Barbiana dalla doppia tentazione, l’agiografia e la liquidazione sommaria. [...] Barbiana è una scuola dove [...] si analizza e si smonta senza pietà tutto il meccanismo dell’oppressione sociale". Questo articolo è stato ripubblicato da Riccioni (1974) nella sua "breve antologia critica".
In questa recensione all’epistolario curato da Gesualdi (1970), l’autore scrive di Milani che "il suo linguaggio era fondato su valori e simboli semplici e tradizionali". Il volume di Gesualdi è definito "filologicamente approssimativo: del migliaio di lettere sinora raccolte, ne sono pubblicate 127, senza indicazione dei criteri di scelta; in molte pagine sono segnalati tagli operati per ragioni non rivelate". Questo articolo è stato pubblicato anche nella "breve antologia critica" che costituisce la seconda parte di La stampa e don Milani, a cura di Riccioni (1974).
Si afferma che Milani "è una delle figure singolari e anche contraddittorie della nostra epoca".
Una lettera al Direttore di un certo C. Marchesi, che definisce Milani "una delle figure più significative del nostro tempo, come prete, come maestro, come uomo".
L’autore commenta la trasmissione La via di Barbiana, presentata nella rubrica televisiva Boomerang. Il servizio era di Giorgio Pecorini (1970), ed il copione era curato da L. Pedrazzi. Contro questa trasmissione polemizzerà il giornale di destra Lo Specchio.
Il giornale di destra commenta la seconda puntata della rubrica televisiva Boomerang, nella quale si parlava di don Milani, definito qui "prete contestatore". Il servizio era di Giorgio Pecorini (1970).
L’autore scrive che Milani "i problemi più veri del nostro tempo li ha vissuti da protagonista con un’intensità e una coerenza quasi disumana". L’articolo verrà ripubblicato da Il Saluzzese dell’8 luglio (citato in Riccioni).
Una recensione (firmata O. D. B.) dell’epistolario curato da M. Gesualdi. L’autore testimonia di come, prima dei vent’anni, in Milani gli interessi politico-sociali stentassero ad emergere e ricorda come lui, incontrandolo subito dopo la fine della guerra, non riusciva "proprio a capirlo".
Recensione a Non tacere. Si fa la storia della Scuola 725 di via dell’Acquedotto Felice. La data dell’articolo è successiva all’8 giugno, perché, in un trafiletto a fianco, si parla della morte di Arnoldo Mondadori, avvenuta quel giorno.
Si tratta del testo registrato della conferenza tenuta da Balducci a Roma, il 9 giugno 1970. L’autore ritiene importante rendersi conto dei modi tipici della fede di don Milani, in un momento in cui tanti sono coinvolti "in una crisi radicale della comprensione e della espressione" della propria vita di credenti. Questo scritto verrà ripubblicato successivamente in L’insegnamento di don Lorenzo Milani, una antologia di scritti di padre Balducci raccolti a cura di Mario Gennari (1995).
L’autore rinvia alla documentazione di Lettera a una professoressa per il fenomeno delle bocciature e degli abbandoni.
Una presentazione dell’epistolario in un inserto speciale: è citato in Riccioni (1974).
Una segnalazione dell’epistolario curato da M. Gesualdi.
"Lo stile è l’uomo; l’immediatezza dà al linguaggio freschezza e sincerità. Le lettere rivelano soprattutto un prete". Citato in Riccioni (1974).
Recensione dell’epistolario curato da Gesualdi. Citato in Riccioni (1974).
Un brevissimo trafiletto di presentazione dell’epistolario curato da Gesualdi.
L’autore usa per Milani, che "si pone tra il presente e il futuro", l’appellativo di "profeta". Termina scrivendo che "per questo D. Milani è una rara speranza per tutti". Citato erroneamente per due volte in Riccioni (1974).
L’autore recensisce molto positivamente l’epistolario di Milani curato da Michele Gesualdi (1970). Scrive che Milani costruisce tutto il suo discorso politico "su premesse strettamente "confessionali"".
Si scrive di Milani che era "un uomo impegnato nel quotidiano, nel circoscritto, a combattere senza sgomento nella solitudine del suo avamposto".
Alla madre di Milani, in questa che è stata l’unica intervista da lei rilasciata, l’autore chiede cosa penserebbe di una canonizzazione del figlio. Alice Weiss ricorda come i genitori fossero stati contrari alla decisione del figlio di farsi prete, anche se nulla fecero per dissuaderlo. Inoltre dice che "adesso che non c’è più, quasi tutti sono d’accordo con lui. Ma Lorenzo non appartiene a nessuno, nemmeno a me". Il testo dell’intervista è stato poi inserito anche in Don Mazzolari, don Milani - I "disobbedienti".
L’autore scrive che Milani "i problemi più veri del nostro tempo li ha vissuti da protagonista con un’intensità e una coerenza quasi disumana". L’articolo verrà ripubblicato da Il Saluzzese dell’8 luglio (citato in Riccioni).
L’autore, in questa lunga recensione dell’epistolario curato da Michele Gesualdi (1970), scrive che "dare, donare, la parola ai poveri, questo è il credo di don Milani". Per vie proprie Milani "riscopre [...] l’ingiustizia di classe e contro di essa è costretto a battersi". Questo articolo è stato pubblicato anche nella "breve antologia critica" che costituisce la seconda parte di La stampa e don Milani, a cura di Riccioni (1974).
Una breve presentazione dell’epistolario curato da Gesualdi.
Citato in Riccioni (1974). L’articolo, citato pure da Cristofanelli (1975), è stato pubblicato anche su Rivista del Cinematografo, con lo stesso titolo, nel numero di luglio, a pag. 358. Per l’autore, il giudizio di Milani sugli intellettuali "pare che contenga molto di vero", egli "non stette mai al gioco degli intellettuali".
Recensione (firmata Fra’ Silverio) dell’epistolario curato da M. Gesualdi (1970), che qui viene definito "il libro più sconvolgente con cui sia stato chiamato a fare i conti da molti anni".
Recensione dell’epistolario curato da Gesualdi.
Una recensione dell’epistolario di Milani curato da M. Gesualdi (1970). "Ma don Lorenzo non è morto. […] un sacerdote tenerissimo, trepido, innamorato della Chiesa, della sua missione. Una di quelle figure che si alzano una spanna sopra tutti gli altri e che sono la gloria della Chiesa".
Per l’autore, don Milani "ha amato soprattutto quei ragazzi [...]. Perché loro diventassero uomini in un mondo più umano ha sfidato i militari, i giudici, la gerarchia". Lo stesso articolo, col medesimo titolo, sarà pubblicato il 25 luglio da La Settimana.
Per l’autore di questa breve presentazione, l’epistolario di Milani curato da M. Gesualdi (1970), è "un libro di straordinario interesse e calore umano". L’articolo è citato in Riccioni (1974), ma con il titolo incompleto ed una erronea attribuzione a P. Citati come autore.
In questa recensione, pubblicata nella rubrica Pareri e commenti, dell’epistolario milaniano, si afferma che "il discorso di don Milani diventa attualissimo anche per le sue implicanze politiche".
Citato in Lunardi (1971).
In questa recensione dell’epistolario curato da Gesualdi, l’autore scrive che "di don Milani non resta visibilmente quasi nulla" e che egli " non ‘appartiene’ a nessuno".
L’autore scrive che don Milani "dentro la Chiesa [...] vive e respira, soffre e lavora, combatte e muore". L’articolo è pubblicato anche su L’Arena.
È lo stesso articolo pubblicato su Il Giornale di Vicenza.
L’articolo è citato in Cristofanelli (1975).
Citato in Riccioni (1974). Un articolo con lo stesso titolo è pubblicato, nel medesimo giorno, da La Settimana.
Un viaggio a Barbiana, "con un misto di amore e di nostalgia". Citato in Riccioni (1974).
L’autore scrive che "sono necessari uomini come don Milani che gettano lampi di luce nel grigiore della mediocrità".
Una recensione dell’epistolario curato da Gesualdi (1970). L’autore scrive che don Milani "è stato, in modo personale e originale, un educatore".
Si tratta di una serie di lettere polemiche che fanno seguito agli articoli a firma di Antonelli (apparso su Meridiano 12 del 15 luglio) e alla lettera di Gregorelli (su Il Nostro Tempo, del 26 luglio). Ad esse ne seguiranno altre il 2 agosto, a firma di Gregorelli, Chiavazza ed Antonelli.
Una lettera al Direttore, nella rubrica Voi scrivete – Il Direttore risponde, firmata da un certo Luciano Monti, nella quale si accusa don Milani di demagogia ed una risposta del direttore del giornale, che Riccioni (1974) definisce "forte", in difesa del priore.
Si tratta dello stesso articolo pubblicato su L’Eco di Bergamo, il 19 luglio.
Con questa lettera dell’autore, un sacerdote, al Direttore della rivista si apre una polemica sui giudizi negativi espressi da E. Antonelli a proposito del cardinale Florit. L’autore ricorda che almeno fin dal 1963 "più volte fu offerta a don Milani una parrocchia diversa da Barbiana", ma che egli rifiutò sempre categoricamente.
Si tratta dello stesso articolo pubblicato un mese prima su Corriere della Sera. Esso verrà pubblicato il 9 agosto anche da La Domenica. A fianco di questa recensione viene pubblicata parte della Lettera a Pipetta.
Secondo l’autore, don Milani "soffre su di sé le conseguenze della crisi della Chiesa e tutta la sua vita è una denuncia di quella crisi e uno sforzo di superarla". "Il suo massimo sforzo è appunto quello di ricondurre il Vangelo agli uomini e gli uomini al Vangelo".
La rivista pubblica, alle pagine 261-262 e 590-595, una serie di articoli ripresi da altre fonti: da L’Europeo, Il Nostro Tempo, Avvenire, La Nazione, Panorama, L’Espresso, ed anche alcune lettere del priore, assieme ad una bozza della lettera che i ragazzi di Barbiana avevano cominciato a scrivere a Florit.
Un trafiletto di 28 righe per annunciare un dibattito, citato in Riccioni (1974).
Citato in Riccioni (1974).
L’autore della recensione scrive che don Milani fu "un prete che è stato tanto se stesso da morirne".
L’autore scrive che Milani "ha combattuto per la verità cristiana da cristiano senza equivoci di sorta né compromessi". Carlo Bo ha poi ripubblicato questo articolo in Don Mazzolari e altri preti, per le edizioni La Locusta, Vicenza, alle pagine 105-108. Si tratta di una recensione dell’epistolario di don Milani che Giorgio Pecorini (1996) giudicherà "parecchio approssimativa". Nel corso di essa, l’autore citerà "di sfuggita", come nota ancora Pecorini, Lettera a una professoressa, dopo che da parte di Bo vi erano stati tre anni di silenzio sul libro della scuola di Barbiana.
Un articolo di tre pagine firmato contardo, dove si afferma che l’esperienza sacerdotale "dell’ormai notissimo prete toscano avrà ancora larghe ripercussioni nella vita italiana". È citato in Cristofanelli (1975).
Ancora una recensione dell’epistolario curato da M. Gesualdi.
È una recensione al libro di lettere del priore, curato da Gesualdi (1970). Nell’articolo si dice che "il profeta è vicino al martire e lontano dal facile successo, come la vita e le lettere di don Milani dimostrano".
L’autore scrive che sta leggendo "con vivo interesse" le Lettere di don Milani. "Prima che sacerdote, provocatore, libellista, sindacalista egli è stato grande maestro […] ha rifatto tutto dal principio: programmi scolastici, metodo di insegnamento, orari, reclutamento degli allievi […] Lo scopo di Don Milani è di fornire ai suoi ragazzi uno strumento per misurare la crudeltà e l’ingiustizia del mondo e insieme una chiave per scardinarlo, più che per penetrarlo".
In questa recensione all’epistolario curato da Gesualdi (1970), Fabbretti scrive che egli non esita "a metterlo accanto ai testi più acclamati della nuova spiritualità".
Una recensione assai favorevole dell’epistolario curato da M. Gesualdi. Per l’autore, Milani "rimane più che mai un segno di contraddizione espressiva eccezionale [...] ma rimane anche un segno dell’amore cristiano […] possiamo tutti ricavare un grande, inestinguibile beneficio da questa raccolta di lettere scritte e pensate in pubblico". Citato in Riccioni (1974), ma attribuito ad autore anonimo.
L’autrice scrive che secondo Carlo Bo "don Milani è un santo e non va confuso con le beghe della letteratura".
L’autore di questa recensione dell’epistolario scrive tutte le azioni di Milani scaturiscono dal suo modo di intendere il sacerdozio, "suffragate da un attaccamento non comune alla sostanza evangelica".
Si tratta di una riproposizione dell’intervista ad Alice Weiss Milani.
Con lettere al Direttore ed altri articoli continua una polemica sull’epistolario di Milani curato da M. Gesualdi (1970). Citato in Riccioni (1974), ma con il solo titolo Lettere.
Resoconto di un "dibattito giovanile" sull’epistolario, con la sintesi degli interventi di G. Anselmi, M. Botto, M. Bartoli e C. De Marchi. Citato in Riccioni (1974).
In questa ampia recensione dell’epistolario, l’autore afferma che si è "insistito troppo sui discorsi proibiti di don Milani, lasciando da parte la prospettiva pastorale da cui partiva e il fine al quale tendeva". Di Milani scrive che era "un ecclesiastico impossibile da catalogare […] la sua passione di prete la si sente ovunque". L’autore spezza una lancia a favore di Florit: "Il Card. Florit ha fatto ogni sforzo per capirlo. Per don Milani non fu, forse, facile, farsi capire. […] Due personalità, due mondi, […] sicuramente due onestà almeno pari!".
In questa recensione dell’epistolario curato da Gesualdi (1970), l’autore scrive che il filo conduttore dell’esistenza di Milani è "il rifiuto dell’amore universale, la convinzione che l’amore per essere autentico non può che rivolgersi ai pochi, ai singoli fra i quali si è chiamati a vivere".
Per l’autore di questa recensione, negli scritti di Milani "affiora una critica mordace e salace, non di rado partigiana", ma egli ha "l’obbedienza dei santi".
"Milani si comportò da profeta biblico: scatenò da vivo la gente perbene, ma morto in anticipo dimensionò la sua coscienza di inviato del Signore […] don Milani rimane una seduzione messianica". Citato in Riccioni (1974).
Vengono qui ripubblicati due articoli, ossia la recensione all’epistolario curato da Gesualdi di D. Gregorelli sull’Osservatore Romano del 6 agosto 1970 e quella di Mario Gozzini su La Stampa del 7 agosto dello stesso anno. Lo schedario del Centro Documentazione di Vicchio riportava erroneamente questo articolo in Realtà Politica. È citato in Riccioni (1974), ma con attribuzione erronea a Gregorelli
In un articolo su "una nuova parola d’ordine […] non lavorare", l’autore cita brevemente il fatto che "la scuola di Barbiana non rifiutava l’idea del lavoro, al contrario predicava un lavoro continuo quotidianamente ripreso".
Nell’articolo-recensione si dice che Milani "a causa di questa sua sincerità, di questa "premura per la verità" […] fu amato da molti e odiato da parecchi […] ci ha lasciato una eredità cospicua di umanità e di moralità attraverso una raccolta di 127 sue lettere private". Riccini cita due volte per errore lo stesso identico articolo, mentre invece esso appare anche su Voce del Popolo.
L’autore scrive in questa recensione all’epistolario curato da Gesualdi che Milani "della povertà non ha voluto fare un mito metafisico, quanto un problema concreto". A questo articolo risponderà polemicamente V. Volpini, su Il Popolo del 15 settembre, rimproverando all’autore di non aver colto i veri motivi della fortuna avuta dagli scritti di don Milani.
Per l’autore della recensione, "dal suo epistolario vien fuori una stupenda figura di sacerdote e di educatore".
Questo articolo, come quello parallelo di A. Rossitto, viene citato da Cristofanelli (1975).
L’autore dice che le parole di don Milani "ci sembrano riflessioni morali autenticamente universali". E poi: "Mondadori pubblica il libro di un’opposizione cattolica così integrale […] perché don Milani è morto e i suoi fogli sparsi, non più suscettibili di assumere un senso attualmente critico, entrano a far parte di quel breviario di pii pensieri". Citato in Riccioni (1974).
Una presentazione dell’epistolario del priore di Barbiana, "un successo librario clamoroso", inserita in una sintetica nota biografica.
Una breve presentazione all’epistolario curato da M. Gesualdi, in cui Milani è definito "coraggioso sacerdote". Citato per due volte in Riccioni (1974), che lo attribuisce ad autore anonimo.
Articolo citato in Cristofanelli (1975).
Per l’autore, Milani "avvertiva, seppure confusamente ed in maniera contraddittoria, le scadenze immediate a cui la chiesa non poteva sottrarsi".
Resoconto della conferenza al circolo ‘Maritain’ di Ancona. Per Gozzini, Milani "riesce a mettere d’accordo le parole e i fatti senza accomodamenti, compromessi". Si tratta dello stesso articolo pubblicato acnhe da La Voce Adriatica.
"Il fascino di questo libro […] scaturisce probabilmente appunto dalla vitalità, dalla combattività, dalla dolcezza, dalle stesse umanissime contraddizioni di don Milani". Citato in Riccioni (1974).
"Parlando di testimone e di profeta sappiamo di usare parole molto grosse ma crediamo davvero di non sprecarle. […] Ci sono pochi libri che si possono amare. Queste ‘Lettere’ sono uno dei pochi che i nostri anni hanno saputo darci". Citato in Riccioni (1974) ed in Cristofanelli (1975). Questa lunghissima recensione dell’epistolario è stata pubblicata anche in Humanitas, n° 10, pag. 969, nell’ottobre dello stesso anno, con il titolo leggermente diverso: La santa rabbia di don Lorenzo Milani.
Una recensione all’epistolario curato da Gesualdi (1970). L’autore scrive che "in queste lettere troviamo una rispondenza piena tra le ragioni dell’intelligenza e quelle della vita". L’autore polemizza con un articolo di E. Siciliano apparso il 21 agosto su La Stampa: "non ha saputo raccogliere il segno della fede vissuta dal prete di Barbiana che rifiuta un certo tipo di intelligenza […] per rompere la crosta degli alibi che la sradicano dalla coscienza".
In questa recensione all’epistolario milaniano "un esempio mirabile di equilibrio cristiano", l’autore vede don Milani condannato ad essere "profeta e martire".
Citato in Lunardi (1971).
Recensendo l’epistolario, l’autore scrive che "l’attualità di don Milani la si può tangenzialmente misurare con Marx".
L’autore della recensione dell’epistolario (definito "un libro-testimonianza") scrive che Milani operò "senza paura, lontano da qualsiasi atteggiamento provocatorio o polemico, la rottura completa col mondo borghese".
L’articolo prende lo spunto da quello di E. Siciliano su La Stampa, del 21 agosto. L’autore rimprovera a Siciliano un intellettualismo di fondo che gli impedisce di cogliere i motivi veri della fortuna degli scritti di Milani. Citato in Lunardi (1971) e in Cristofanelli (1975). Si tratta dello stesso articolo già apparso su Avvenire.
L’autore scrive, recensendo l’epistolario curato da Gesualdi ("il più gran libro dell’anno"), che le lettere "sono le testimonianze autentiche di un cristiano autentico".
L’autore della breve recensione (della cui firma si riesce a leggere solo il nome, Francesco) scrive che "la sezione cattolica dei contestatori a sfondo maoista si è annessa la figura del sacerdote toscano e n’ha fatto un cartello contestatario contro la Chiesa".
Questo comunicato dà conto degli incontri tra Milani e il cardinale Florit, dal 1956 al 1967.
Una lunga recensione dell’epistolario curato da Gesualdi. "È spontaneo chiedersi perché don Milani credeva di dover impiegare tutte le sue energie nell’ambito della scuola […] Dalle pagine delle lettere possiamo […] valutare la posizione di don Milani nel senso di una diretta e corresponsabile partecipazione ai problemi di coloro a cui donava tutte le sue energie ". Articolo citato in Riccioni (1974).
Per l’autore c’è stata "una grande rimozione" dell’insegnamento di don Milani.
In un lungo articolo sul tipo di linguaggio usato in documenti della chiesa e della magistratura italiana, vengono più volte citati scritti milaniani.
L’autore di questo breve saggio vede nel processo dal particolare al generale l’elemento base di Lettera a una professoressa, e coglie in Milani "elementi di profetismo".
È il resoconto della conferenza di Mario Gozzini al circolo culturale ‘Maritain’ di Ancona, sul tema "La figura e l’opera di don Lorenzo Milani". Il nome dell’autrice (Benincasa) è in parte illeggibile. Si tratta dello stesso articolo pubblicato acnhe da Il Messaggero.
L’autore scrive a proposito dell’epistolario di Milani "personaggio […] che tanta nefasta influenza ha esercitato nella maturazione del ‘caso Isolotto’, che tanto discredito ha gettato sul clero fiorentino". Il sottotitolo afferma Anche l’"Osservatore Romano" ne è rimasto contagiato: si critica D. Gregorelli per aver fatto il 6 agosto sul giornale vaticano "una presentazione per sentito dire" dell’epistolario.
Un lungo articolo, citato in Riccioni (1974). Per l’autore, la sensazione di Milani "era che fosse stato il cattolicesimo intellettuale fiorentino a vedere in lui ciò che non c’era, a creargli attorno quella cornice di ribelle, di profeta, fino ad interporre una cortina di incomprensione nella catena contadini-prete-vescovo. […] È lo spirito di ubbidienza la parte oggi più attuale del messaggio di don Milani".
Di don Milani l’autore scrive che "non fu di nessuno. Batté a destra e a sinistra, anche indelicatamente, anche ferocemente, quando a lui sembrava giusto". Citato in Riccioni (1974).
In questa presentazione delle Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana (che, a tre mesi dall’uscita, "stanno per toccare le centomila copie vendute"), si scrive di Milani che "sembra, come uomo e come prete, destinato, come pochi altri, a donare speranza e buona volontà a chi disperava di averne ancora".
L’articolo fa solo un rapidissimo riferimento a Lettera a una professoressa. Citato in Riccioni (1974).
Si afferma che Milani "incarnava la figura del profeta disarmato, la sua innocenza era il termine di confronto che si opponeva ai piccoli o grandi compromessi che l’interlocutore si portava con sé".
Si tratta di una lettera al Direttore (con una breve presentazione anonima) in cui l’autore polemizza con un articolo di D. Magrini di critica alla sua presentazione dell’epistolario milaniano. Egli scrive, polemizzando anche con E. Balducci e la sua recensione dell’epistolario, che "Don Milani ha avuto dei forti limiti anche nelle intuizioni pedagogiche, oggi quasi incondizionatamente decantate, così pure in certe sue visioni politico-sociali, per non parlare del modo quasi semplicista con il quale ha fatto la ricostruzione della storia d’Italia degli ultimi cent’anni". Riccioni (1974) attribuisce l’articolo ad autore anonimo. Magrini replicherà sul successivo numero della rivista.
Una recensione dell’epistolario curato da Gesualdi. L’articolo è citato in Lunardi (1971) ed in Cristofanelli (1975). "La raccolta delle lettere esplicita il valore attribuito da don Milani alla scuola per i poveri, come imperativo urgente e impellente, dovere capace di esaurire giustamente tutte le sue energie".
Citato in Lunardi (1971).
L’autore, amico di don Milani sin dai tempi del seminario, riferisce dell’opinione sfavorevole espressa dal vescovo ausiliare di Firenze, monsignor Giovanni Bianchi, a proposito di Milani, in relazione all’atteggiamento che Nesi (1968) aveva precedentemente definito "di obbedienza". Secondo l’autore, il vescovo ausiliario definì don Milani "un alienato". Si tratta dello stesso articolo pubblicato su Il Popolo Lombardo. L’autore dichiara all’inizio di "prendere spunto" dall’articolo di P. Pratesi sul n° 163 di Settegiorni. Citato in Riccioni (1974), dove un refùso lo colloca però nel 1974.
Citato in Lunardi (1971).
Una recensione all’epistolario, citata in Riccioni (1974). "Prete integro, impavido, quasi alla ricerca del sasso da scagliare nello stagno, è don Milani nei suoi rapporti coi colleghi toscani, con la curia e, in particolare, col suo capo, il cardinale Florit".
"Infine sorge un dubbio: l’immagine di don Milani che esce da questa raccolta di scritti corrisponde a ciò che egli veramente era oppure egli appare come ce lo vogliono mostrare i curatori del volume?". Recensione all’epistolario, citata in Riccioni (1974).
L’autore replica a D. Gregorelli, che ne aveva criticato l’articolo del 10 ottobre . Citato in Riccioni (1974).
L’autore di questa lunga recensione all’epistolario scrive: "il lavorare per il popolo di Don Milani non fu mai populismo. E niente sarebbe più ingeneroso e poco comprensivo che fare di Barbiana una esperienza antesignana della più recente contestazione studentesca […] Don Lorenzo Milani resta un maestro inimitabile".
Una lunga recensione, citata in Riccioni (1974), che però la attribuisce ad autore anonimo. L’autore, un frate cappuccino, scrive: "Credo che dobbiamo considerare le "Lettere di Don Lorenzo Milani" come un fraterno aiuto a scuoterci dal torpore di una vita troppo pigra e stanca".
Citato in Riccioni (1974). Articolo che riprende quello apparso su Idea, del quale elimina la sola parte finale, che verrà invece reinserita nell’articolo su Realtà Politica.
In questa ampia recensione di Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, l’autore, un gesuita, valuta molto positivamente, pur con qualche riserva, la figura e l’opera di don Milani, additandolo alla "cauta" ammirazione dei cattolici. Secondo l’autore, don Milani "è stato un uomo che riesce oggi ancora a scuotere salutarmente il lettore e a farlo riflettere" su certi modi di essere cristiani. Secondo Pecorini (1996), l’autore capovolge "garbatamente" il giudizio negativo di padre Perego, sia pure con cautela.
Trafiletto che annuncia lo spettacolo teatrale di Giovampietro.
Presentando lo spettacolo teatrale sull’opera di Milani, l’autore (che si firma a. bl.) scrive che "Lettera a una professoressa viene immancabilmente citata e saccheggiata in ogni rappresentazione che intenda dibattere i problemi della scuola".
L’autrice, recensendo l’epistolario di Milani, scrive che "il miracolo operato da don Milani già dodici anni addietro […] è stato proprio di ridestare lui per primo e le coscienze addormentate dall’abitudine a quello che è il problema fondamentale della società: la scuola".
Una recensione, ospitata sul periodico diretto da padre Raimondo Spiazzi, che dà lo spunto per un attacco a Milani, "figura che suscita senza dubbio ammirazione, affetto e compianto". "Anche quando D.M. afferma e mette in risalto punti critici reali, o addirittura fatti inconcepibili, si nota con quale disinvoltura, faciloneria e assolutezza pronuncia giudizi di condanna, che coinvolgono un po’ tutti".
La notizia che lo spettacolo è andato in scena al Metastasio di Prato. Citato in Riccioni (1974).
L’articolo, siglato M. D. L., afferma che Giovampietro "ha mirabilmente dato voce a don Milani, prete […] "volutamente né prudente né pacato"". Citato in Riccioni (1974).
Si tratta dello spettacolo teatrale preparato da Giovampietro, già oggetto di polemiche e di pesanti interventi censorii.
Citato in Lunardi (1971).
Trafiletto di 21 righe. Citato in Riccioni (1974).
Ancora sullo spettacolo di Giovampietro. Citato in Riccioni (1974).
Trafiletto di 20 righe. Citato in Riccioni (1974).
L’autore di questa lunga lettera al Direttore, un ex cappellano militare, in riferimento agli articoli di Magrini (1970 e 1970b), scrive sostenendo che "il "caso don Milani", affidato alla Misericordia di Dio, non doveva essere mai più da noi riaperto". Ricorda una conferenza a Calenzano, al termine della quale Milani disse "che la Chiesa Cattolica ha le mani insanguinate: che fu perseguitata per tre secoli ma che ha perseguitato per diciassette secoli". In un secondo incontro, a Barbiana, pensò "che la malattia gli avesse sconvolto la testa". Nel 1992 Cotturone citerà le "confidenze" di Stefani per sostenere il proprio attacco alla figura di Milani.
L’autore definisce "discutibile e a volte [...] inammissibile (moralmente)" il linguaggio di Milani. È la seconda parte della recensione già apparsa su Idea. Viene accompagnata da un breve corsivo redazionale in cui si scrive che l’epistolario è "un documento assai discutibile sotto l’aspetto ecclesiologico e spirituale".
Trafiletto di 13 righe, citato in Riccioni (1974).
Si tratta di un trafiletto di presentazione del lavoro teatrale di Giovampietro.
L’articolo riferisce sulle polemiche e le censure di cui è stato oggetto il lavoro teatrale di Giovampietro.
Nel trafiletto viene presentato il lavoro teatrale di Giovampietro.
Trafiletto di 30 righe citato in Riccioni (1974).
Un breve articolo di presentazione, citato in Riccioni (1974).
L’autore della recensione definisce Milani "un prete di fede, di purissima fede, […] l’ultimo ed il più fermo degli educatori in un mondo che non ha più coscienza del valore della educazione.
Un ampio articolo di recensione dell’epistolario curato da Gesualdi, definito "un volume che illumina da angolazioni inedite la figura di questo scomodo profeta del nostro tempo". Citato in Riccioni (1974).
Un lunghissimo articolo di recensione dell’epistolario curato da Gesualdi. L’autore dice che "è un libro da leggere, subito dopo da meditare" anche se rileva alcune contraddizioni in cui "fatalmente" il priore cadde. Citato da Riccioni (1974), ma con delle imprecisioni nel nome dell’autore.
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Volume ristampato numerose volte, al quale nel ’93 è stata aggiunta una prefazione di Mario Pancera. Contiene (pag. 60-65) anche l’articolo Università e pecore, che qui viene datato 30 marzo 1956. Al libro è premessa una Avvertenza firmata collettivamente "I ragazzi di Barbiana", in cui si spiegano i motivi del ritardo nella prima pubblicazione del libro con la dispersione del gruppo, le esitazioni di alcuni e il dissenso di altri. Come fa notare Pecorini (1996), non viene però fornita alcuna spiegazione sui criteri con i quali si era operata la scelta tra le oltre mille lettere raccolte, per arrivare alla pubblicazione di un lotto di centoventisette. E neppure vengono fornite spiegazioni sulle motivazioni che hanno indotto a tagliare, in quelle pubblicate, alcuni brani, come pure a togliere o sostituire alcuni nomi che vi apparivano. L’opera è disponibile nell’archivio del Centro di Documentazione "Don Milani" di Vicchio.
Il maestro di Piàdena racconta del suo incontro con Milani a Barbiana, e dell’accordo raggiunto per mettere in corrispondenza le rispettive scolaresche. Nel libro sono riportate anche la lettera inviata dagli allievi di Barbiana e quelle di accompagnamento di don Milani, datata 2 novembre ’63, che spiegava il modo e i tempi in cui i suoi ragazzi avevano lavorato.
Citato in Cristofanelli (1975) e in Lancisi (1977).
Si tratta di un dépliant contenente il testo del lavoro teatrale messo in scena da Giovampietro (1970) e dalla Compagnia del Teatro Zeta.
Si tratta di una delle tre opere teatrali ricavate dagli scritti di don Milani. L’adattamento dal libro è opera di P. G. Gili (1970), sul tema L’obbedienza non è più una virtù. Ne dà notizia Riccioni (1974, pag. 132), il quale annota che si trattava di "soggetti scabrosi, che [...] non mancarono di suscitare grandi polemiche".
Giorgio Pecorini è autore di un servizio su Milani, che il giornale della destra Lo Specchio commenterà negativamente, con articoli di G. Franceschi (1970).